Con uno dei suoi fluviali, corrosivi, sempre utilissimi interventi (“Il Foglio”, 24-25 febbraio), Giuliano Ferrara ci serve sul piatto delle riflessioni un tema rovente quanto sfuggente, quello delle “élite” e del loro ruolo nella società d’oggi. Rovente da sempre, da quando almeno la sociologia degli inizi del secolo scorso ne fece, con Mosca o Pareto, le prime dissezioni, scettiche e preoccupanti; sfuggente perché, nella consapevolezza della loro attuale decadenza, tutti evitano di affrontare, con la determinazione necessaria, la spinosa questione.
Nei suoi “Elementi di scienza politica” (1896) Gaetano Mosca asseriva, categoricamente: “Fra le tendenze e i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politici, uno ve n’è la cui evidenza può essere a tutti manifesta: in tutte le società, a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono arrivate appena ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone, quella dei governanti e l’altra dei governati…”.
Più o meno da allora, le analisi si sono moltiplicate ma la definizione di Mosca non è stata mai rifiutata né confutata. E oggi Ferrara può a buona ragione esigere, da queste mitiche élite, che facciano il loro “mestiere”, che è quello di governare, anzi di “comandare”: “Trovare consenso attraverso i progressi e gli adattamenti dell’organizzazione sociale, tutt’altro che impossibili malgrado l’accentuata concorrenza e instabilità mondiale di mercati e scenari geopolitici…”; “dare sostanza alla regola della democrazia liberale, che non è quella della demagogia e del pressappochismo ideologico…”.
A modello ed esempio di élite adeguata ai suoi doveri, Ferrara prende il governo francese di Édouard Philippe “sotto la guida di Emmanuel Macron”, l’uomo che sta rimettendo il suo Paese sui giusti binari, addirittura strappandolo dal suo nazionalismo colbertista con una buona iniezione di liberalismo ed europeismo. “Salvo il caso francese, che rileva del miracoloso (in apparenza) – esclama Ferrara – l’Europa occidentale starebbe diventando ingovernabile. L’elenco delle deficienze dell’Europa, sempre attribuibili alla carenza di élite, è preoccupante. Anche la Francia ne soffrirebbe, invece proprio lì, grazie a Emmanuel Macron, la tendenza sembra rovesciarsi e il Paese sta secondando, con più o meno buona volontà, gli sforzi riformatori del leader di “en marche!”. Bene, d’accordo.
Con tutta franchezza, non direi però che ci sia da augurarsi o da aspettarsi il fiorire di altrettanti Macron in questo o quel Paese europeo, a partire dall’Italia del dopo 4 marzo. Non sarebbe sufficiente: “Abituiamoci – osserva Ferrara – non è un caso italiano, il marasma e la decomposizione della catena di comando”. Persino l’America, con l’avvento di Donald Trump, ne mostra i sintomi. E se poi vogliamo parlare di un concetto che è stato, piaccia o non, plasmato su schemi e formulari tipici delle democrazie “occidentali”, allora dovremmo constatare che l’epidemia è ora mondiale, Xi Jinping che si proclama presidente a vita si allontana decisamente dalle nostre concezioni della democrazia e della formazione delle élite. Il paragone con le dittature del secolo scorso è forse improprio, ma non poi tanto da non incuterci qualche preoccupazione.
Che ci sia un problema di élite a livello mondiale, causato proprio da quella “instabilità mondiale di mercati e scenari geopolitici...” di cui parla Ferrara? Non è opinione diffusa che la politica è oggi in crisi dovunque, a causa di una globalizzazione gestita da minoranze (élite?) di potere tecnologico-finanziario che esautorano i governi e minano le istituzioni? La soluzione di nuove élite nazionali, seppur dotate dell’ottimismo volontaristico di Macron e dei suoi, non regge. Il disincanto delle masse verso le attuali élite ha radici molto profonde, è ovunque dominante la percezione della inutilità di élite a misura di Nazione, quale che sia. Nessuno oggi aspira più a “morire per la patria” come supremo dovere dell’uomo. Eventualmente, forse si preferisce affrontare qualche rischio come “contractor”, o guerrigliero professionista.
Forse non ce ne accorgiamo, forse la fucina di élite adeguate alla globalizzazione è già accesa. Se ci sono o ci saranno, saranno élite multietniche, multilinguiste, multiculturali, trasnazionali e ubique.
Aggiornato il 01 marzo 2018 alle ore 08:11