Si può dire che c’è un insegnamento, una scuola o, se volete, una eredità tutt’ora viva e operante, con caratteristiche e identità immediatamente riconoscibili e uniche, che si può senz’altro far risalire a Marco Pannella? Credo si possa correttamente dirlo. Sappiamo, e ci amareggia, che tra quanti hanno lavorato - anche fianco a fianco e per anni - con il grande leader radicale, ci sono oggi differenze di idee e di metodo che sono tracimate fino a scavare un tale invalicabile baratro da rendere impossibile una minima legittimazione reciproca; e che, addirittura, differenze e divergenze si sono arroventate fino all’inimicizia, all’insopportabilità gli uni per gli altri. E tuttavia, tra iscritti al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito e associati in Radicali Italiani si intravedono ancora tratti comuni e perfino segmenti di percorso non distanti tra loro se non proprio collimanti.
Emma Bonino, leader determinata e sempre presente della omonima lista elettorale, solleva la bandiera di una Europa non tanto macroniana quanto ancora - nei suoi tratti essenziali - spinelliana e pannelliana, riscuotendo un seguito di popolarità eccezionale e contendendo l’eredità transnazionale ai seguaci di Maurizio Turco, leader indiscusso e rappresentante giuridico del Prntt. Ma, in un ideale confronto e dialogo, Marco Cappato, di Radicali Italiani, e Rita Bernardini del Prntt, con un impegno che coinvolge l’uno e l’altra sul piano personale, sono operosi su percorsi sicuramente pannelliani, nella difesa dei diritti della persona o della giustizia e delle grandi riforme della struttura carceraria e penitenziale. Sia Cappato che Bernardini sono sul filo di lana di possibili successi che segnerebbero fortemente la cronaca e la storia del Paese. A loro fianco si profilano altri nomi, altri volti che mostrano evidenti i tratti della comune eredità. Alcuni di questi sono stati collaboratori e compagni di lotte di Marco per lunghi anni e decenni se non addirittura dagli inizi; altri sono giovani che del più che cinquantennale percorso del leader conoscono solo il sommario o alcuni tratti. Sicuramente, in nessuna di queste vicende c’è la completezza e la singolarità che distingueva Pannella, ma sembra a volte che la puntigliosità con cui ciascuno di questi continuatori ed eredi svolge il suo compito abbia il senso di una volontà, di una determinazione intenta a riempire, o a ridurre al possibile, il vuoto dell’assenza del grande leader.
Se ciascuno di loro, o tutti, raggiungessero l’obiettivo che si prefiggono, il Paese potrebbe ancora percepire il senso profondo, la necessità e l’urgenza di una operosa attività radicale, capace di dare preziosi e utili contributi di crescita e di consapevolezza politica, soprattutto sul piano metodologico. Al di là degli eccessi della campagna elettorale in corso, il Paese è stato negli ultimi tempi immerso in un degrado politico e culturale senza precedenti, al culmine e come conclusione del quale non c’è probabilmente il ritorno a una qualche forma di fascismo ma la realizzazione di una sorta di Repubblica delle Banane, più o meno peronista: al posto del cittadino, ha preso il sopravvento, e non solo grazie al Movimento pentastellato in versione Grillo o in versione Di Maio, uno spregiudicato e arrogante individualismo, ingordo e vorace, ignaro della delicatezza dei valori e dei diritti della persona. L’infezione ha attecchito quasi dovunque, dentro quasi ogni soggetto o formazione politica. Si avverte purtroppo il rischio che aggredisca, più o meno subdolamente, anche gli eredi di Pannella, o alcuni di essi.
C’è la speranza che i diversi segmenti del post-pannellismo intraprendano un cammino centripeto, con l’obiettivo di ritrovarsi assieme in un’unica casa? Qualcuno sinceramente lo desidera e opera in tal senso, ma l’obiettivo sembra allontanarsi piuttosto che avvicinarsi. Alle difficoltà inerenti alle diversità di linguaggio più o meno cristallizzate nelle loro ovvie divergenze esistenziali, sono ormai ostacolo insormontabile a una soluzione pacificatrice risentimenti, rancori e finanche odi personali, più o meno giustificabili e comprensibili. E, soprattutto, non c’è più il collante del magistero e del carisma di Marco Pannella, capace di smussare divergenze e incomprensioni reciproche e persino di utilizzarle e “strumentalizzarle” ai fini degli obiettivi politici che di volta in volta indicava. Nello sbriciolarsi della sua eredità, si viene perdendo – ed è il danno peggiore – l’afflato utopico, ma anche la preveggenza profonda che animava e rendeva assolutamente contemporanea, attuale, la sua iniziativa e la sua parola. Talvolta, ahimè, sotto questa o quella iniziativa dei volenterosi eredi si profila l’immagine di un antiquato e sterile cavallottismo, se non addirittura qualcosa di peggio.
Ricorre quest’anno l’anniversario della morte di Mario Pannunzio, scomparso nel 1968, due anni dopo la chiusura de “Il Mondo”. Anche se alcuni, incorreggibili antistorici, lo neghino, ritengo che Pannella, nella diversità dei metodi, sia stato l’unico suo erede, nell’attualizzazione e inveramento del messaggio crociano, quello della “religione della libertà”. Ma oggi?
Aggiornato il 10 febbraio 2018 alle ore 08:16