Silvio Berlusconi e la coalizione di centrodestra sembrano voler giocare tutte le possibili carte offerte dalla democrazia per ottenere un successo alle prossime elezioni politiche. Essere un vincente, però, stavolta, non serve. Serve uscirne vincitori. È diverso. Risultare il miglior perdente potrebbe diventare un modo, volente o nolente, per favorire l’ascesa del M5S. Non basta vincere, nell’imminente campagna elettorale sarà necessario convincere, vincere con, vincere insieme. Non basta arrivare primi, bisognerà invece che la coalizione di centrodestra riesca a raggiungere e superare la soglia del 40 per cento dei consensi. Fare pronostici sui probabili esiti delle prossime elezioni politiche, come si può facilmente dedurre, è divenuto lo sport nazionale del momento. È un divertimento a cui ho deciso di non sottrarmi. Proverò, allora, a comporre degli scenari futuri e a fare qui delle previsioni tentando, sia ben chiaro, di compiere un’analisi politica ragionata.
Uno dei presupposti più utilizzati dai vari osservatori politici è divenuto, giustamente, quello d’individuare il punto nevralgico nell’ultima legge elettorale. Infatti, si andrà alle urne a marzo e l’odierna legge che disciplina le elezioni rappresenta l’innesco che trasformerà l’esito del voto in un campo minato. Infatti, per come è stata scritta e concepita, la legge elettorale in vigore impedirà a ciascuno degli attuali schieramenti di raggiungere una maggioranza qualificata in grado di governare. E su questo punto ciascun elettore si può già fare una propria idea personale. Mi limiterò a tacere evitando con cura qualsivoglia commento su questo aspetto. Quindi, dopo lo spoglio nei seggi elettorali, salvo sorprese, ci attende il caos o, perlomeno, un vero e proprio stallo istituzionale dovuto al fatto che, molto probabilmente, il giorno dopo il voto, non si saprà chi avrà vinto le elezioni e, anzi, nessuno vincerà le elezioni perché tutti e tre gli schieramenti, a quanto pare, si fermeranno più o meno al 33 per cento dei consensi. Chi più, chi meno. Comunque, risulteranno tutti al di sotto della soglia del 40 per cento prevista dalla legge per accedere al premio di maggioranza. Quale sarà il partito più votato? E la coalizione?
Mi ritrovo in piena sintonia con tutto il ragionamento sviluppato da Arturo Diaconale, nel suo editoriale del 21 dicembre scorso, dal titolo “Il modello tedesco per il Pd di Renzi”. Concordo con tutta la sua analisi politica, soprattutto quando scrive che “la speranza dell’attuale segretario dei democratici di bissare il 40 per cento delle ultime elezioni europee è svanita da tempo”. Oppure quando sottolinea di come “fare previsioni è sempre azzardato. Ma un dato è comunque certo. L’attuale segretario (Renzi, ndr) potrà anche scendere sotto la quota raggiunta dal segretario precedente. Ma il suo Pd risulterà comunque profondamente diverso da quello bersaniano. Negli ultimi cinque anni, infatti, la maggiore forza politica della sinistra ha cambiato il proprio Dna e, soprattutto, la propria struttura interna. Nessuno, per la verità, ha capito bene la natura del nuovo Dna”.
Qual è la nuova natura del Pd? Boh! Sono d’accordo su tutto quanto ha scritto il direttore in questo suo editoriale appena citato. L’articolo mi appare ed è lucido come sempre. Si sa che Diaconale è un commentatore assai lucido nelle sue analisi politiche, ma stavolta dissento sulle conclusioni. Infatti, Diaconale termina il suo articolo di fondo con una domanda: dove va il Pd? E chiede: “Verso una coalizione di governo guidata da un esponente del centrodestra sul modello delle larghe intese tedesche?”. Poi, aggiunge: “E perché no?”. Ecco, è a questo “perché no?” che vorrei tentare di rispondere. Personalmente, direi di no perché sarebbe il modo più facile per offrire al Movimento 5 Stelle di cavalcare la rabbia, di farsi opposizione distruttiva, di puntare a percentuali altissime facendo leva sulla demagogia, sul “sono tutti uguali”, sul coprire in modo sempre più dominante quel 50 per cento di probabili elettori che si troverebbero in disaccordo con l’inciucio tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi.
Insomma, guai a sistemare le carte sul tavolo. Credo che tutto il centrodestra debba e possa dare vita a una novità politica in grado di farle fare un salto di qualità e superare la fatidica soglia del 40 per cento. Non è uno scenario probabile, ma è possibile. Se si arrivasse a un arrocco tra Forza Italia e Partito Democratico, se il prossimo governo sarà debole e se la prossima legislatura durerà poco, allora si apriranno praterie per i pentastellati. Se si componesse una maggioranza trasversale con Renzi e Berlusconi, allora - dopo tre mesi - i “grillini” avrebbero gioco facile e potrebbero davvero arrivare al 50 per cento degli elettori. Dopo un anno, sarebbe anche peggio. Dopo due anni di larghe intese, Beppe Grillo sarebbe portato in trionfo. Un governo di larghe intese, sul modello tedesco, insomma, sarebbe un vero proprio suicidio politico per i due contraenti di un tale patto scelerato.
Non per fare la Cassandra, ma credo che vada evitata con cura qualsiasi forma di neo-consociativismo. Ritengo che il centrodestra, con la regia di Silvio Berlusconi, debba e possa giocare la partita con l’obiettivo di raggiungere i voti dei delusi, degli arrabbiati, delle persone oneste, degli amareggiati, dei perduti, dei produttori, dei nonni, dei dimenticati, degli studenti, dei più giovani, dei sognatori, dei disoccupati e degli astensionisti.
Ripeto: gli astensionisti. Ma, soprattutto, un centrodestra capace di convincere dovrebbe sottrarre consensi al Movimento 5 Stelle. Come? Con un progetto forte e corsaro. Ci vuole altro da quanto messo su da Enrico Costa, Fitto, Lupi e Capezzone. Sempre se si vuole davvero uscirne vincitori e non soltanto vincenti, cioè se si vuole scongiurare lo scenario probabile: passare alla storia come i migliori perdenti.
Aggiornato il 27 dicembre 2017 alle ore 19:16