Regeni: il Governo gioca a mosca cieca

Sul caso di Giulio Regeni il Governo, per bocca del ministro degli Esteri, oggi ammette che le indagini sul rapimento avvenuto al Cairo il 25 gennaio dello scorso anno e conclusosi con la morte del giovane ricercatore, si siano mosse su una pista quanto meno parziale. Fin dal primo momento sono stati puntati i riflettori sul coinvolgimento dei servizi di sicurezza egiziani nel sequestro e nell’uccisione di Regeni. Non altrettanta attenzione è stata prestata ad altre piste investigative.

In particolare, gli inquirenti italiani non hanno ritenuto (o non hanno potuto) insistere con i colleghi britannici per accertare il grado di responsabilità nella vicenda delle autorità accademiche dell’Università di Cambridge, che avevano assegnato la ricerca di dottorato al giovane friulano. Regeni lavorava “sul campo” a uno studio sul ruolo dei sindacati in Egitto. Era un compito pericoloso da affidare a uno studente. Eppure è stato fatto. Perché? Chi lo ha deciso? Giulio è stato mandato a morire. Per quanto scomoda a sentirsi, questa è la realtà. Parliamo da genitori: se venissimo a conoscenza che un nostro figlio poco più che ventenne ha ricevuto da un docente universitario il compito di svolgere un’inchiesta in Calabria sui rapporti criminali tra le ‘ndrine della Locride, cosa faremmo? La cosa più ovvia: precipitarci in facoltà a dire a muso duro all’esimio accademico: “A fare un lavoro del genere non ci mandi un ragazzino, ci vai tu se ne hai gli attributi”. Invece per il povero Giulio, costretto a trattare con dei pendagli da forca per racimolare informazioni, non c’è stato il medesimo riguardo da parte dei parrucconi di Cambridge che l’hanno cinicamente usato e gettato via. Vi sembra possibile che un giovane acqua e sapone come Giulio potesse competere con avanzi di galera del tipo di Mohamed Abdallah, il sedicente capo del sindacato dei venditori ambulanti del Cairo il quale, dopo aver tentato di estorcergli denaro, lo ha “venduto” ai servizi di sicurezza? I poliziotti del Paese nordafricano si sono comportati da copione: sbirri al servizio di un potere tirannico e corrotto. Che altro attendersi da loro: che recitassero a memoria la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo? E cosa ne sanno in Egitto di diritti umani?

A Roma ci si è accaniti per sapere quale mano avesse infierito sul ragazzo, come se conoscere questo particolare truculento servisse a dare pace agli affranti parenti della vittima o a raddrizzare la bilancia della Giustizia caduta di mano alla dea. Nessuno, invece, si è preoccupato di andare a Londra a battere i pugni sul tavolo per sapere chi e perché avesse imbarcato Regeni, uno studente dottorando, in una missione ad altissimo rischio. Gli investigatori italiani hanno tentato di ottenere risposte dai mammasantissima di Cambridge ma si sono visti sbattere la porta in faccia.  Nessuna risposta utile è venuta dalle autorità accademiche britanniche. La professoressa Maha Abdelrahman, responsabile della ricerca e tutor di Regeni si è rifiutata di incontrare i nostri inquirenti. Lei, profonda conoscitrice della realtà egiziana, al punto da denunciarne la sistematica violazione dei diritti umani in saggio dal titolo “Long Egypt’s Revolution” non poteva non sapere (Ah! Procuratore Borrelli, dove sei?) in quale guaio stesse ficcando il ragazzo italiano. Perché lo fatto ugualmente, preoccupandosi esclusivamente di far firmare a Giulio una presa d’atto del rischio connesso al tipo di missione? Oggi, fonti italiane, paventano l’ipotesi che Regeni sia stato utilizzato come spia a sua insaputa dalla tutor o da qualcun altro sopra di lei nella gerarchia accademica. Nulla lo prova ma, dal momento ché in Italia un avviso di garanzia non si nega a nessuno, e vista la sospetta reticenza dell’ateneo britannico, non guasterebbe recapitare alla professoressa, che intanto ha deciso di cambiare aria concedendosi un anno sabbatico, un qualche atto giudiziario.

Matteo Renzi, a suo tempo parlò del caso con l’omologa britannica Theresa May la quale, però, fece spallucce. Domanda: abbiamo scatenato un can-can con la storia del ritiro dell’ambasciatore dal Cairo ma con Londra neppure uno straccio di protesta formale, come mai? La si vuole la verità, o no? D’accordo, gli egiziani autori materiali dell’assassinio sono sudice canaglie e per quanto ci riguarda le vedremmo volentieri penzolare a una corda. Tuttavia, se gli esecutori sono spregevoli individui non è che coloro che hanno mandato un ragazzo italiano allo sbaraglio siano migliori o meno colpevoli. In questa brutta storia, d’innocente non c’è niente. C’è stato solo un governo italiano incapace di fare la cosa giusta. Ci piacerebbe che i “santoni” di Cambridge scendessero per una volta dal piedistallo e trovassero il coraggio di dire la verità sulla missione suicida affidata a Giulio Regeni.

 

Aggiornato il 07 settembre 2017 alle ore 10:28