L’importanza di andare a Cernobbio

 

Nella stagione che precede il rinnovo del Parlamento, il Forum Ambrosetti rappresenta una tappa obbligatoria del dibattito politico. Per i leader in campo sottrarsi significherebbe un’implicita ammissione di sfiducia nelle proprie chance di successo. È questa la ragione che ha indotto Luigi Di Maio e Matteo Salvini ad accettare l’invito ben consapevoli, i due ospiti, di non poter approcciare l’incontro con la retorica dei comizi di piazza. Nessuna meraviglia se, per l’occasione, essi hanno dismesso l’uniforme barricadera. È bastato, però, questo cambio di look per far gridare all’incoerenza spregiudicata dei due. Francamente non condividiamo tale eccessivo sdegno. Qui non conta l’estetica o la prossemica, ma la sostanza. Gli interventi dei due leader sono serviti a fare chiarezza.

Luigi Di Maio ha rappresentato magistralmente l’inconsistenza del suo movimento, deficitario di una base ideologica strutturata sulla quale incardinare un’offerta politica condivisa dai suoi stessi membri. I Cinque Stelle hanno fatto fortuna sostenendo disinvoltamente tutto e il suo contrario. Ciò va bene per impersonare una forza di opposizione che dà voce alle pulsioni sentimentali dell’opinione pubblica meno informata, ma non funziona per garantire l’esercizio dell’attività di governo. Roma docet. Anche la sorprendente ammissione che la battaglia per l’indizione del referendum sulla permanenza dell’Italia nell’area euro non fosse concreta ma solo uno strumento di propaganda, non deve essere letta come un autogol del Di Maio ma, al contrario, come l’onesta rappresentazione di ciò che i grillini intendono sia la prassi politica.

Medesimo ragionamento, ma con esito opposto, vale per Matteo Salvini. A differenza del suo collega pentastellato, il capo leghista non si propone come leader di un partito velleitario che punta al governo in solitario. Salvini ha accettato di essere parte di una coalizione nella quale difficilmente la sua forza avrà la meglio sulla componente liberale-riformista. Il target della Lega è puntare alla golden share nel centrodestra. O almeno a un diritto vincolante di sindacato sulle scelte della coalizione una volta approdata alla guida del Paese. Salvini sa che quando non si può viaggiare in solitudine ciò che conta è poter condizionare chi è alla guida del veicolo. E questo già sta avvenendo se è vero che l’agenda politica del centrodestra sia animata dai temi cari alla Lega. Che poi sono quelli che ha illustrato alla platea di Cernobbio, che lo ha preso molto sul serio. Salvini ha sollevato la questione demografica quale problema cardine del futuro dell’Italia e dell’Europa. Il deficit di natalità mette a rischio il naturale ricambio generazionale che garantisce la preservazione e la continuità nel tempo della millenaria civiltà occidentale. È un tema questo di cui preoccuparsi o deve essere derubricato come un boutade populista? Per il breve termine il leader leghista ha ribadito le questioni centrali che faranno parte del programma di governo del centrodestra: l’abolizione degli studi di settori, la riscrittura della Legge Fornero sulle pensioni, la flat tax, l’adozione di forme di sovranità monetaria. La platea non poteva non drizzare le orecchie. In particolare sulla questione della doppia moneta. La Lega da tempo studia l’introduzione dei cosiddetti mini-bot, titoli al portatore di piccolo taglio, destinati a incrementare il flusso di liquidità disponibile per le imprese e le famiglie. Silvio Berlusconi ci sta pensando seriamente. Anche lui è consapevole che affidarsi alle sole buone performance delle aziende manifatturiere sul mercato estero non basta; bisogna rianimare i consumi degli italiani. Perché ciò accada è indispensabile che la manifattura torni prepotentemente sul mercato interno. Gli effetti immediati si ripercuoterebbero sull’allargamento della base imponibile dell’economia del Paese e spingerebbero la ripresa dell’occupazione.

Esiste un problema di debito pubblico che impedisce avventure al buio. Verissimo. Per questo motivo una qualsiasi manovra che intervenga a modificare, anche in parte, lo status quo della moneta unica, deve avvenire a saldi invariati di finanza pubblica. È normale che gli operatori convocati a Cernobbio ne volessero sapere di più. Soprattutto della sua sostenibilità nelle fasi di attuazione e di messa a regime. Quindi la domanda che bisognerebbe porsi non è che fine abbiano fatto le felpe di Salvini, ma se le sue argomentazioni abbiano convinto gli interlocutori. Dal tenore della risposta potrebbe dipendere in parte l’esito dei prossimi appuntamenti elettorali.

Aggiornato il 06 settembre 2017 alle ore 19:36