I centri di tensione permanente

L’esplosione di violenza nel quartiere periferico romano del Tiburtino III costituisce una spia fin troppo evidente dello stato di grave tensione che cresce nella società italiana a causa del problema irrisolto dell’immigrazione. Non è l’avvio di una esplosione generalizzata, ma è il segnale preciso di quanto potrebbe avvenire se non si dovesse correre rapidamente ai ripari.

Il Governo Gentiloni, in aperta controtendenza rispetto al precedente Esecutivo guidato da Matteo Renzi, ha compiuto un grosso sforzo per ridurre l’afflusso incontrollato dei migranti. L’azione tesa a mettere sotto controllo il canale umanitario realizzato dalle Organizzazione non governative senza regole e senza la minima preoccupazione sulle conseguenze di un’accoglienza senza fine, ha dato frutti positivi. Ma l’episodio del Tiburtino III indica che accanto alla necessità di ridurre il numero dei migranti in arrivo c’è anche, e soprattutto, quello della gestione di quanti sono già presenti nel territorio nazionale. C’è, in sostanza, come ha rilevato il capo della Polizia, Franco Gabrielli, il problema della loro possibile integrazione. E la vicenda romana dimostra che la strada della sistemazione temporanea dei migranti in edifici adattati allo scopo all’interno delle aree urbane non solo non serve allo scopo ma risulta essere la causa principale della crescita incontrollabile delle tensioni in tutto il territorio nazionale.

Si dice spesso che l’Italia non ha il problema delle banlieue francesi o dei quartieri-ghetto provocati in Gran Bretagna, in Belgio e in Germania dalla politica dell’assimilazione di Parigi o da quella tesa a realizzare la società multietnica e multiculturale di Londra, Bruxelles e Berlino. La considerazione è giusta. L’Italia si trova nello stadio iniziale di un processo di integrazione che nel resto d’Europa si è sviluppato da più tempo assumendo forme particolari provocate dalle politiche post-coloniali di Gran Bretagna, Francia e Belgio e da quella industriale tedesca (l’immigrazione controllata dei lavoratori turchi). Ma questa diversità italiana ha come unico vantaggio quello di poter fare tesoro delle esperienze altrui per non ripetere l’errore di una integrazione fallimentare.

Per il resto, sempre se di queste esperienze non si tenga conto, rischia di produrre risultati addirittura peggiori rispetto a quelli fallimentari del resto dell’Europa.

I centri di accoglienza nelle città e nei paesi sono per definizione temporanei. Ma questa temporaneità ha un difetto mortale. E’ destinata a non finire mai perché fino ad ora nessuna politica seria di integrazione, controllata, gestita ed in grado di garantire sia i migranti che gli italiani, è stata elaborata. Si è tentato di dare una risposta all’emergenza cercando di diluire la presenza dei profughi nel maggior numero di comuni- Ma non sapendo che fine potranno mai avere chi finisce nei mini-ghetti è facile preventivare che i centri di accoglienza temporanea finiranno con l’essere centri di tensione permanente. A quando una politica di integrazione seria, responsabile e concretamente realizzabile?

Aggiornato il 01 settembre 2017 alle ore 20:08