
Prima della pausa di Ferragosto sembrava che l’asta indetta da Angelino Alfano, per l‘assegnazione del pacchetto di voti di Alternativa Popolare alle elezioni regionali siciliane, dovesse fruttargli un ricco bottino. Invece, tutto sta andando a carte quarantotto. Il primo a sfilarsi dalla competizione è stato il centrodestra.
Bisogna raccontarla bene: ad abbandonare Alfano al suo destino è stata Forza Italia, visto che né Giorgia Meloni né Matteo Salvini hanno creduto per un solo istante alla possibilità di una riappacificazione con Angelino, il “traditore”. Fuori il competitor con più assi nella manica, restava in piedi la sola offerta del Partito Democratico renziano. Un pacchetto comunque allettante per i centristi: accordo per il sostegno unitario a una candidatura a governatore della Sicilia a una figura gradita ai centristi e, fatto decisivo, la promessa di un apparentamento per le elezioni del prossimo Senato. La legge vigente, il “Consultellum”, prevede per l’accesso alla Camera Alta una soglia d’ingresso proibitiva per le piccole formazioni. Un’intesa con il Pd darebbe quindi ad Alternativa Popolare una concreta speranza di sopravvivenza nella prossima legislatura. Stando ai fatti, l’offerta avanzata da Matteo Renzi resta per Alfano, ancorché unica, pur sempre un ottimo affare. Senonché, come sovente accade, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. E questa volta nei panni del maligno dispettoso si sono calati quelli di “Articolo 1-Mdp”, che hanno detto un no bello rotondo a Matteo Renzi riguardo alla possibilità di un’alleanza allargata ad Alternativa Popolare. “In Sicilia meglio perdere piuttosto che vincere con Alfano”. Questa la sentenza vergata a lettere di fuoco dai bersaniani. E per convincere tutti delle loro intenzioni hanno lanciato nella sfida Claudio Fava, attuale vice presidente della Commissione parlamentare Antimafia. Sarà pure una candidatura di bandiera ma serve a guastare i piani di Renzi. Ora il segretario del Pd dovrà ripensare alla sua offerta ad Alfano perché improvvisamente è finita fuori mercato. Per il giovanotto fiorentino in cerca di riscatto la Sicilia doveva costituire il trampolino di lancio per il ritorno a Palazzo Chigi. Con una sinistra che prende le distanze dai suoi progetti sono le sue personali ambizioni ad avere la peggio. Il punto è che se Renzi dovesse intestardirsi a proseguire con il patto Pd-Ap anche Giuliano Pisapia di “Campo Progressista” potrebbe chiamarsi fuori dai tentativi di rimettere insieme tutto il centrosinistra e, a ruota, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, in questi giorni molto attivo nella ricerca di una soluzione regionale che replichi il modello di suo conio di civismo vincente, potrebbe sfilarsi dall’impegno personale nella campagna elettorale siciliana. Allora per il Pd renziano si spalancherebbe il baratro.
D’altro canto, Renzi di nemici che gli remano contro non ne ha solo fuori dal partito. I più pericolosi si annidano proprio tra le sue fila. Oltre ai conclamati oppositori: il diafano ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il pittoresco governatore della Puglia, Michele Emiliano, vi sono i dissidenti “coperti” alla Dario Franceschini che restano silenti ma attendono in armi il primo passo falso del leader per rimettere in discussione gli equilibri interni al partito. Per di più che molti big del Pd guardano con preoccupazione non solo alla possibilità di una sconfitta alle prossime elezioni nazionali. Sono in ballo i criteri con i quali verranno stilate le liste dei candidati alle nazionali per ciascuna circoscrizione. Un Renzi forte gestirebbe la partita in splendida solitudine, mentre un Renzi indebolito dall’ennesima sconfitta elettorale sarebbe costretto a negoziare le candidature con i capibastone del partito. Il ridimensionamento del capo nella scelta delle squadre Pd per la prossima legislatura costituirebbe di fatto il primo passo verso la sua definitiva defenestrazione dal ruolo auto-assegnatosi di “uomo solo al comando”. Il benchmark per misurare lo stato di salute del renzismo è la prossima elezione siciliana. Il giovanotto ne è perfettamente consapevole. Perciò, dopo l’aut-aut dei bersaniani, la possibilità che il Pd ritiri l’offerta fatta ad Alfano è tutt’altro che remota giacché l’accaparramento della quota Ap potrebbe rivelarsi per quel che è nella realtà: un peso più che un valore aggiunto. Per i manovratori d’agosto mala tempora currunt.
Aggiornato il 30 agosto 2017 alle ore 12:45