Dopo Macron? Ancora Macron, hélas!

Se non sono le calende greche, poco ci manca; se non ci sono ancora le firme dei ministri competenti, l’accordo è pronto per essere stipulato, o pochissimo ci manca. Tutto è rinviato alla fine di settembre: quasi il giorno del mai, come si dice.

Il 27 settembre, a Tolosa, nel corso dell’incontro bilaterale tra Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni (posto che sia ancora lui il Presidente del Consiglio italiano) si metterà la parola fine al contenzioso dell’accordo Fincantieri-Stx. La vicenda non poteva finire che così, tra i cavilli del più puro politichese. L’Italia non ha in realtà alcun interesse a un’ipotesi di fallimento della trattativa, ma neanche la Francia, nonostante le sceneggiate sovraniste di Macron (con il plauso, pare, di buona parte dell’opinione pubblica francese), può auspicare che restino sul groppone dello Stato i cantieri e i bacini di carenaggio di una industria che operando nel mercato globalizzato non può non avere dimensioni e cultura d’impresa transnazionali e una attitudine gestionale elastica, rapida nelle decisioni: due necessità che convergono nel definire come adeguato e forse senza alternative l’accordo già raggiunto (e poi stracciato dalla Francia) tra i due Stati e le due industrie.

Dunque, tutto viene formalmente rinviato ma con quasi assoluta certezza l’intesa è, nella sostanza, quella da tempo resa di pubblico dominio. Ovviamente, le due protagoniste - Italia e Francia - racconteranno due storie diverse. E alla fine sarà oggettivamente un po’ difficile stabilire quale delle due avrà dovuto cedere di più.

Ci sarà tempo e modo di riparlarne. Quel che oggi interessa è altro. Personalmente, credo si possa dire che stavolta, come a Barletta nel 1503, i francesi ne abbiano più prese che date. E dovranno pure dire che la responsabilità di quanto è accaduto ricade quasi tutta sulle spalle di Macron (è normale, o quasi, che la politica si debba accollare responsabilità anche non sue: ricordiamo a tutti la canzonetta satirica attribuita a Gavroche: “Je suis tombé par terre, c’est la faute à Voltaire...”).

“Crediamo che la lettura della vicenda – osserva Claudio Costamagna, presidente della Cassa Depositi e Prestiti – sia tutta politica, in chiave elettorale francese (...). Il presidente Macron aveva preso un impegno davanti a 30 milioni di elettori e davanti alla Le Pen. Deve agire così per preparare il terreno alla riforma del lavoro...”.

Osservazione ineccepibile. Solo che, nel corso della campagna presidenziale, quello stesso Macron aveva promesso una linea politica improntata a un forte rilancio europeo; linea generalmente interpretata, non solo dalle stampa e dagli esperti ma dall’opinione pubblica e dagli elettori, come conseguenza logica, se non proprio di un pieno e classico laissez faire, almeno di apertura, di liberalizzazioni nell’ambito del Vecchio Continente. Prima sul tema dei migranti, ora nella vicenda dell’accordo tra Fincantieri e Stx, Macron sembra rimangiarsi le sue promesse. Cose che in politica succedono senza destare (eccessivo) scandalo, anche se l’abuso di questi disinvolti atteggiamenti è forse la principale causa del disamore delle varie opinioni pubbliche per la politica in sé. Con una scusante - in questo caso - oggettiva. Nel XVII secolo in Francia nasceva, grazie al grande successore di Mazarino, Jean-Baptiste Colbert, il “mercantilismo” – quel che oggi chiameremmo protezionismo o sovranismo. Il mercantilismo, o meglio il colbertismo, è nel sangue dei francesi, non stupisce che Macron ne senta ancora il fascino obbligato; la Francia è quella che è, nella storia moderna, per il colbertismo, il laissez faire è, nonostante il nome, patrimonio della cultura mercantile (non mercantilista) inglese.

Scusante o no, la disillusione di scoprire un Macron sovranista è forte. Molti, anche in Italia, riposero in lui le speranze della ripresa di un forte e brillante europeismo, se non proprio di un federalismo alla Spinelli. Si aprì un bel dibattito, si accesero passioni, si scandì lo slogan “Europa First”. Tutto finito? Io credo di no e, paradossalmente, grazie proprio a Macron, il Macron di oggi. Che lui ne sia consapevole o no, a lui si deve se il tema dell’Europa è entrato, con nuova prepotenza, nell’agenda politica. La vicenda Fincantieri-Stx rinfocolerà il dibattito tra sovranisti e europeisti, l’intero percorso presidenziale di Macron offrirà occasioni per tenerlo acceso e attuale. Macron dovrà in qualche sede parteciparvi apertamente, scoprire di più le sue carte.

Saranno molte le occasioni per verificare se in Europa, o in Italia, esistono davvero soggetti politici capaci di spendersi credibilmente e magari efficacemente sopra progetti europei(sti). Potrebbe persino coagularsi un embrione di quel “popolo europeo” che Spinelli non riuscì a creare. Come durante la campagna elettorale, Macron potrà rappresentare l’occasione di cui, come spesso succede, la politica ha bisogno per prendere slancio. Il momento elettorale non venne colto, speriamo che oggi le cose siano cambiate. Altrimenti dovremo rassegnarci a constatare che il federalismo degli Spinelli e dei Pannella è davvero morto, e quelli che rivendicano la loro eredità sono solo dei chiacchieroni vuoti, inutili e persino, impedendo ad altri di mettersi al lavoro, pericolosi. Maliziosamente, verrebbe la voglia di dire: meglio “En marche!” che “Europa First”.

Aggiornato il 04 agosto 2017 alle ore 22:14