
Qualcuno l’ha definito un’arma di distrazione di massa. È il disegno di legge “Richetti” (dal nome del deputato Matteo Richetti del Partito Democratico, primo firmatario della proposta), che dispone l’abolizione dei vitalizi e una nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali.
Che in coda di legislatura in Parlamento si discuta un argomento parecchio scivoloso è il segno dei tempi che viviamo. Non è un caso se l’iniziativa parta dal Pd. Matteo Renzi ha ingaggiato una lunare rincorsa alla demagogia da un tanto al chilo dei Cinque Stelle. Si batte la pista del moralismo qualunquista pur di raccattare voti. È un’indecenza. Certo, la percezione dell’opinione pubblica che la “casta” goda di ingiusti privilegi è reale e non può essere negata. Soprattutto in un momento di forte crisi economica e occupazionale. La gente comune, quando soffre, si mostra più incline a erigere forche (simboliche) dalle quali far penzolare i veri o presunti responsabili delle proprie disgrazie. Ma bisogna stare attenti. Nella foga giustizialista si possono commettere abusi che ledono i fondamenti della vita democratica del Paese.
Facciamo chiarezza. I vituperati vitalizi non esistono più da tempo. Già con la riforma dei Regolamenti interni delle Camere del 2012, l’assegno vitalizio di deputati e di senatori era stato abolito e sostituito con un sistema di tipo previdenziale. Ciò che si propone l’odierna iniziativa parlamentare è di estendere il trattamento previdenziale vigente, basato sul calcolo dei contributi versati, anche agli ex parlamentari che attualmente percepiscono i vitalizi in forza della legge n. 1261 del 1965, di molto antecedente alla riforma del 2011. Il nocciolo della proposta, che ha scatenato un’assurda concorrenza tra piddini e Cinque Stelle ad attribuirsi la medaglia del campione dell’anti-casta, verte sull’equiparazione del trattamento pensionistico di tutti i parlamentari e dei consiglieri regionali, passati e presenti, al sistema previdenziale vigente per i lavoratori dipendenti. Il presupposto ideologico, sancito in premessa nel disegno di legge, è di “abolire definitivamente i trattamenti in essere basati ancora sull’iniquo sistema degli assegni vitalizi”.
Insomma, più “Fornero” per tutti. Sarà così, ma a noi sembra una fregnaccia pazzesca. E pericolosa. Posto che i guai dell’Italia e del suo enorme debito pubblico non si risolvono allungando le mani nei portafogli di alcune vecchie cariatidi della politica, la domanda che ci poniamo è: perché loro e solo loro? C’è un mondo di distinti signori e signore che nella vita hanno avuto la capacità e la fortuna di svolgere lavori interessanti e ben remunerati e che sono andati in pensione godendo del regime retributivo. Grazie a quel sistema ricevono trattamenti da nababbi sui quali nessuno osa dire nulla se non che, valendo il principio di affidamento sui diritti acquisiti, lo Stato non può cambiare le regole in corso. Sacrosanto! Ma se funziona per magistrati, boiardi, burocrati, generali con le stellette e direttori generali senza stellette, per funzionari di periferia e dirigenti Rai, e tanta altra varia umanità, perché non dovrebbe valere per i politici?
Tralasciando le considerazioni di contorno, quello che preoccupa è la filosofia che sostiene un tale provvedimento. Rappresentare la politica come un luogo del malaffare e i politici come una banda di ladri da dover neutralizzare con apposite leggi punitive è più che sbagliato: è folle. Qui la colpa ce l’hanno tutti perché non si è fatto abbastanza per contrastare con forza la scriteriata rappresentazione della vita politica come vita di casta. La democrazia e lo Stato di diritto, per reggere, necessitano di organi i cui membri siano effettivamente liberi, cioè non subiscano ricatti o pressioni di sorta. Per questo i padri costituenti avevano previsto che venisse sancito il principio dell’affrancamento del rappresentante del popolo da ogni forma di bisogno. Anche economico. Quello che oggi viene demagogicamente definito un privilegio altro non è che una garanzia di libertà. E pazienza se, in settant’anni di vita repubblicana, ci sia stato qualcuno che di quel sacro principio abbia fatto strame. Se uno sciagurato prende a martellate la Pietà di Michelangelo non per questo si chiudono tutti i musei.
Per quanto ci riguarda non abbiamo mai condiviso le idee di personaggi del calibro di Massimo D’Alema o di Ciriaco De Mita, o di altri, pensiamo a Mario Capanna contro cui in tempi lontani di bella giovinezza abbiamo combattuto e anche fatto a botte. Ma mai e poi mai ci verrebbe di pensare, sull’onda montante di un becero demagogismo, di prenderci la rivincita tagliandogli i viveri. Si può essere demenziali, e in questo piddini e Cinque Stelle si contendono la palma, ma vigliacchi fino a questo punto no
Aggiornato il 26 luglio 2017 alle ore 21:37