Un confine politico invalicabile

Come ho già avuto modo di scrivere su queste pagine, ragioni puramente elettoralistiche consentono a livello locale, in forza di meccanismi di voto che spingono alle aggregazioni, di realizzare alleanze politiche di corto respiro. Tant’è che queste ultime  vengono poi regolarmente sconfessate in Parlamento, nel quale non è raro trovare nella stessa parte della barricata il Partito Democratico, Forza Italia e altri partiti di area centrista e liberale, contrapposti all’eterogeneo fronte populista.

È questo il caso dell’accordo commerciale tra Italia e Canada, approvato in questi giorni dalla Commissione Esteri del Senato grazie al sostegno decisivo delle truppe berlusconiane, in aperto contrasto con la Lega, Fratelli d’Italia, il Movimento 5 Stelle e gran parte della sinistra radicale, tutti uniti appassionatamente su una anacronistica linea trumpista.

Ciò, se ce ne fosse ancora bisogno, ha evidenziato in modo plastico il superamento dei vecchi schemi politici basati sulla contrapposizione destra/sinistra, conservatori/progressisti, moderati/riformisti e via discorrendo. Con l’avanzata tumultuosa dei cosiddetti populisti, si stanno rapidamente creando nuove alleanze e nuovi equilibri politici.

Tutto ciò determina con sempre maggiore chiarezza un diverso posizionamento delle forze in campo. Posizionamento che soprattutto in Italia, tra i grandi Stati europei quello che presenta le maggiori criticità, tende a formare un sempre più marcato discrimine tra le forze in campo: da un lato i populisti che parlano alla pancia del Paese, portando avanti tesi e proposte piuttosto semplicistiche, vendendole con un linguaggio altrettanto elementare; dall’altro lato dovrebbero invece esserci tutti quei soggetti politici responsabili i quali, al netto di ogni elemento propagandistico, intendono appellarsi al senso di realtà e di ragionevolezza, o almeno a quel che di ciò ancora resta, degli italiani.

Realtà e ragionevolezza che rappresentano l’essenziale presupposto culturale e politico per impostare nel medio e nel lungo periodo quelle sempre invocate riforme strutturali in grado di fermare l’inarrestabile declino italiano. Niente a che vedere, dunque, con il populismo avventurista, ad esempio, del M5S di Beppe Grillo e della Lega di Matteo Salvini, i cui programmi sono ispirati, tra l’altro, a una indigesta macedonia di sovranismo monetario, cospirazionismo anticapitalista e protezionismo di stampo ottocentesco. Al pari di Marine Le Pen, la grande sconfitta nella corsa all’Eliseo, i populisti italiani esprimono un tale, insensato radicalismo sul piano economico-finanziario che non vedo, nel caso di una alleanza, pre o post-elettorale che sia, come sia possibile trovare con essi un minimo comune denominatore politico. Tuttavia, occorre sottolineare, non basta differenziarsi da chi fa della pura demagogia il suo programma politico per convincere gran parte di un elettorato sempre più demotivato e tendente a rifugiarsi nell’astensionismo. Occorre invece elaborare un’offerta politica credibile che eviti, come ad esempio sembra ostinarsi a voler ancora fare il declinante Matteo Renzi, di rincorrere gli stessi populisti sul loro terreno preferito, proponendo ricette semplicistiche e di rapida applicazione per problemi colossali.

Bisogna avere il coraggio, la visione e la capacità di spiegare al Paese la sua reale condizione, evitando di indulgere in narrazioni favolistiche le quali non possono che condurci al disastro.

Aggiornato il 03 luglio 2017 alle ore 20:55