Prodi, Renzi e il proporzionale

Romano Prodi non è tipo che dimentica le offese e gli sgambetti. I centouno franchi tiratori che gli impedirono l’elezione a Presidente della Repubblica gli stanno ancora sul gozzo. E poiché buona parte di quei centouno erano di fede renziana, è automatico concludere, visto il carattere vendicativo del Professore, che sulla strada dell’attuale segretario del Partito Democratico dovrebbe cadere presto o tardi la valanga della ritorsione prodiana.

Ma anche Matteo Renzi non è tipo che dimentica e perdona. Il leader dei democrats non ha apprezzato affatto la distanza con cui Prodi ha seguito la battaglia perduta sul referendum e non si è mai fidato della apparente bonomia dell’antico avversario di Silvio Berlusconi. In particolare ha sempre considerato l’uomo dell’Ulivo, cioè del centrosinistra allargato e plurale, come l’avversario più insidioso alla sua leadership nella sinistra e alla sua ambizione di tornare il più rapidamente possibile a Palazzo Chigi.

Ora lo scontro latente è diventato palese. Non solo perché l’evidente antipatia reciproca e la diversità di carattere sono esplose con il massimo clamore dopo il voto amministrativo di domenica scorsa. Ma soprattutto perché Renzi e Prodi rappresentano due linee politiche antagoniste e alternative che non hanno alcuna possibilità di convivere.

La decisione di Matteo Renzi di tornare alle proprie origini, reagendo alla sconfitta elettorale riesumando la rottamazione della vecchia classe dirigente del Pd, si scontra in maniera violenta con l’appello di Prodi a tentare di invertire il declino evidente del maggiore partito della sinistra con la ripresa della strategia ulivista che prevede il massimo dell’apertura alla alleanza tra tutte le componenti del campo progressista.

Renzi vuole rottamare Prodi e quest’ultimo si rende perfettamente conto (e non lo nasconde affatto) che per ricostruire l’Ulivo bisogna mettere fuori gioco Renzi.

Il conflitto, che fino a ieri sembrava nascosto, è diventato ufficiale. E la sua ufficialità ha prodotto come conseguenza immediata la presa di distanza dal renzismo di quei dirigenti del Pd, come Dario Franceschini, che avevano contribuito al successo di Renzi alle ultime primarie. Questo significa che il segretario del Pd rischia di essere defenestrato a breve? Niente affatto. Perché una parte importante dei quadri democrats rimane fedele a Renzi. Significa, però, che l’ex Premier rischia un isolamento nel partito da cui può uscire solo andando alle elezioni con un sistema fortemente proporzionale. Cioè con il Consultellum, l’unica formula in grado di trasformare il suo isolamento in una strategia politica di sopravvivenza!

Aggiornato il 28 giugno 2017 alle ore 21:56