
Talvolta per un’idea si può morire, ma il più delle volte si straparla. Capita anche ai migliori. Figurarsi poi se non capiti a coloro che migliori non sono.
È il caso dello scivolone oratorio che ha mandato in tilt il serioso ministro dell’Interno, Marco Minniti. Il contesto era galeotto: la kermesse bolognese della “Repubblica delle idee”. L’argomento tentatore: la proposta di legge sullo Ius soli. Il mix perfetto per lasciarsi prendere la mano. Minniti, a proposito della riforma che dovrebbe rivoluzionare i criteri di concessione della cittadinanza italiana ai minori stranieri nati o residenti nel nostro Paese, davanti alla platea osannante ha sentenziato: “Non credete a chi dice che bisogna chiudere le porte: sono cattivi maestri e i cattivi maestri non vanno ascoltati".
Così quelli come noi, che ritengono in piena coscienza che la proposta approdata in Senato sia un’autentica porcata, sarebbero dei cattivi maestri. Come quelli dell’intellighenzia di sinistra che, negli anni Settanta, tennero bordone ai criminali delle Brigate Rosse e dintorni sostenendo l’ignobile neutralità di “né con lo Stato, né con le Br”. E noi saremmo come quelli lì? Forse che difendere il diritto alla salvaguardia dell’identità nazionale sia così tanto sovversivo da legittimare farneticanti accostamenti? Forse che contrastare il progetto multiculturalista per la sostituzione etnica del popolo italiano con le masse allogene provenienti dal Terzo e Quarto mondo equivalga a fare terrorismo? Forse che chiedere di difendere la sacralità dei patri confini sia la stessa cosa che uccidere e mettere le bombe? ministro, ci dica, ma non è che, a furia di stare a contatto con i pargoli del cattocomunismo, ha perso la brocca? Lei assegna a sé un compito pedagogico: “Stare accanto a chi ha paura per liberarlo dalla paura”. Le facciamo rispettosamente osservare che le posizioni espresse tanto sui temi dello stop all’immigrazione incontrollata quanto, oggi, sull’opposizione granitica allo Ius soli, non sono figlie della paura ma dell’orgoglio. Sì, ministro: dell’orgoglio. Non le parrà vero, ma c’è parecchia gente, sparsa per lo Stivale, che prova ancora orgoglio a essere italiana. Magari non si commuove quando scende in campo la Nazionale di calcio, ma non trattiene un’emozione sincera quando vede sventolare il tricolore. Sì: fa il tifo per l’Italia, non soltanto quando c’è da tirare quattro calci a un pallone.
L’Italia, quello strano posto che non è semplicemente un’espressione geografica, come avrebbe voluto l’asburgico principe von Metternich, ma una storia ultra-millenaria che ha guidato i popoli verso la civiltà, una cultura che ha portato luce nel mondo. E se il mondo ha molto di bello da farsi invidiare dal resto dell’universo, molto lo deve al fatto che sono esistiti gli italiani. Proprio quella razza geniale e bizzarra che lei e i suoi sodali multiculturalisti vorreste cancellare con un tratto di penna.
Che arroganza, ministro! Eppure si dovrebbe avere maggior criterio nel maneggiare argomenti che non sono nelle esclusive disponibilità dei contemporanei. Vi sono clausole del pactum societatis la cui modifica, anzi: il cui stravolgimento, richiede un consenso ben più ampio del “qui e ora”. Il principio basico dell’attribuzione della cittadinanza è una di quelle. L’essenza qualificativa dell’essere o meno cittadino italiano coinvolge nella sua prefigurazione non soltanto i viventi odierni ma anche i morti delle epoche passate e i nascituri delle future generazioni. Non ci è dato di decidere da soli, non è solo cosa nostra. Bisogna che si tenga conto della volontà dei nostri padri e dei nostri antenati che si sono sacrificati per edificare ciò che oggi c’appartiene. E riguarda i nostri figli e i nostri pronipoti. Che diritto abbiamo di negare loro ciò che ci è stato trasmesso? Se i nostri predecessori avessero voluto un’Italia diversa, aperta a chiunque vi posasse il piede, l’avrebbero fatto scrivendo differenti leggi e un’altra storia da quella che ci hanno consegnato. E se i nostri eredi un giorno ci chiedessero: con quale diritto ci avete derubato del passato? Noi cosa potremmo mai rispondere? Che un bel giorno lei e il suo partito, forti del sostegno parlamentare di una pattuglia di voltagabbana, avete fatto strame degli antichi patti? Allora, attento alle parole, signor ministro. Se qui ci sono traditori di una civiltà, quelli non siamo noi. Guardi in casa sua e vedrà che bella compagnia ritroverà a farle eco.
Aggiornato il 21 giugno 2017 alle ore 13:42