
Condannare la violenza anti-islamica che ha avuto un primo e drammatico esempio a Londra è un’esigenza inderogabile per bloccare sul nascere la spirale di odio e di guerra civile che può scatenarsi nella democrazie occidentali colpite dal terrorismo islamista. Ma pensare che questa spirale venga interrotta solo con le condanne formali sarebbe non solo ingenuo ma anche demenziale. Il rischio che a un tipo di violenza si contrapponga una violenza uguale e contraria è insito nella società multietnica e multiculturale in cui la tutela politicamente corretta delle diverse comunità ha prodotto la separazione e l’isolamento delle comunità stesse. La Gran Bretagna è l’esempio più significativo di questo tipo di società. Il ripetuti atti di terrorismo islamista hanno provocato la reazione del folle estremista che ha cercato di uccidere i musulmani all’uscita dalla moschea di Finsbury. Un atto che dimostra il fallimento del modello inglese di società multietnica e multiculturale e che ora potrebbe scatenare le reazioni islamiche e le controreazioni degli anti-Islam.
Il dibattito sullo Ius soli nel nostro Paese dovrebbe tenere conto dell’esperienza della Gran Bretagna e della Francia, i due Paesi che hanno avuto in eredità dal loro passato coloniale i due diversi modelli di inserimento di comunità islamiche nelle rispettive società. Sulla base di queste esperienze, cioè del fallimento sia del modello inglese che di quello francese capaci solo di produrre ghetti terreni di coltura di violenza, bisognerebbe inserire nella discussione la considerazione che non basta il riconoscimento giuridico per assicurare una vera cittadinanza a chi viene o nasce da genitori stranieri in Italia.
Se si vuole effettivamente difendere e garantire i più deboli, come vanno sostenendo i vescovi italiani in nome dell’interpretazione politicamente corretta della religione cattolica, è indispensabile che al titolo giuridico di cittadino si aggiungano le condizioni essenziali perché la cittadinanza sia effettiva.
Queste condizioni sono date dalla possibilità concreta di inserimento nella vita sociale del Paese attraverso l’istruzione, la tutela della salute e, soprattutto, l’inserimento nel mondo del lavoro. Senza istruzione, sanità e lavoro la cittadinanza produce isolamento, degrado, rabbia e violenza. Questa regola vale per tutti. Ma soprattutto vale per chi viene in Italia con la speranza di un futuro migliore e non va condannato a un tipo di vita peggiore di quello da cui è fuggito.
Il nostro Paese è in grado di assicurare a tutti i migranti la piena cittadinanza o si prepara a creare ghetti e banlieue dove rinchiudere i nuovi sottoproletari destinati al lavoro nero e alla delinquenza?
Aggiornato il 21 giugno 2017 alle ore 13:45