
Con i ballottaggi di domenica la Francia ha chiuso la lunga fase elettorale inaugurata con il primo turno delle presidenziali del 23 aprile. Il neo-presidente Emmanuel Macron consolida il successo conquistando con il suo movimento, “La République En Marche!”, la maggioranza dei seggi all’Assemblea Nazionale. Dei 577 seggi in palio, il partito del presidente se ne aggiudica 308. Ciò gli consentirà di avere mani libere nell’attuazione del programma elettorale senza dover pagare prezzi eccessivi all’accordo con gli alleati. I centristi di “MoDem”, infatti, ottengono 42 seggi ma non decisivi per la tenuta del governo.
Per un giovane presidente filoeuropeista che stravince, molti sono gli sconfitti. E non tutti solo per demeriti propri. Il Partito Socialista paga con l’umiliazione la crisi di consenso per le forze politiche tradizionali. 29 deputati eletti, così il partito che fu di François Mitterand rischia l’estinzione. E non sono andati meglio “Les Republicains”. Fino ad aprile chiunque avrebbe scommesso che la destra liberale neo-gollista avrebbe dato il nuovo presidente alla Francia dopo la negativa parentesi del quinquennato all’Eliseo di François Hollande. Ma una serie di marchiani errori e uno scandalo giudiziario cascato ad hoc sul candidato François Fillon, hanno reso possibile l’inimmaginabile. Oggi “Les Republicains” si fermano a 113 seggi. Ben magra soddisfazione sapere di essere la prima forza d’opposizione parlamentare al giovane inquilino dell’Eliseo. Dalle ceneri del Partito Socialista, invece, prende il volo la sinistra radicale di “La France insoumise”, capitanata dal duro e puro Jean-Luc Mélenchon. Diciassette seggi non sono un tesoro ma sono sufficienti per costituire un gruppo parlamentare autonomo che potrà far sentire maggiormente la sua voce rispetto a quanto sia concesso di fare ai singoli deputati “cani sciolti”, cioè non inquadrati in gruppi strutturati.
Che è esattamente il problema di Marine Le Pen e della sua pattuglia di eletti del Front National. La leader della destra radicale raccoglie appena 8 seggi. Nulla rispetto al consenso raggiunto in occasione del voto del primo turno delle presidenziali. Certo si tratta di una sconfitta. Ma quella del Front National è, se possibile, meno sconfitta delle altre. In questo caso a remare contro è stato anche il sistema di voto che consente di tenere fuori dalla porta chi è ritenuto sgradito. Il meccanismo del ballottaggio al secondo turno, infatti, applicando la logica della “conventio ad excludendum”, permette di negare la rappresentanza a chi i voti li avrebbe. Ciò pone un problema di giustizia politica che è del tutto analogo a quello che in queste ore in Italia viene denunciato da Silvio Berlusconi. I numeri francesi ci aiutano a capire. I centristi di “MoDem” hanno 42 seggi avendo ottenuto 1 milione 100mila 790 voti complessivi. Il Front National si ferma a 8 deputati pur avendo conseguito nelle urne 1 milione 590 mila 858 voti. Quindi, 34 seggi in più con 490mila 068 voti in meno: non c’è proporzione. Per non dire del vincitore. “La République En Marche!” conquista la maggioranza di 308 seggi con 7 milioni 826mila 432 votanti dalla sua.
Preveniamo l’obiezione: questo sistema è utile perché garantisce la governabilità. Verissimo. Ma si può dire che sia anche equo? La domanda non è peregrina se è vero che un sistema poco rispondente al necessario equilibrio tra consistenza del mandato parlamentare ed espressione del voto popolare rischia di trasferire l’opposizione al governo fuori del perimetro istituzionale. Ed è proprio il bicchiere mezzo vuoto della sorprendente performance del giovane Macron. Il dato che sconcerta di domenica è la bassa affluenza alle urne. Ha votato circa il 43 per cento degli aventi diritto. Si tratta di un pessimo segnale che piomba a guastare la festa ai nuovi moderati filoeuropeisti. Se più di un cittadino su due non ha ritenuto importante recarsi domenica ai seggi può voler dire solo una cosa: che intende far sentire la sua voce trascurando totalmente ciò che un’opposizione parlamentare potrebbe fare o dire nelle sedi opportune. Ma, com’è noto, la piazza risponde a dinamiche che non sono le medesime dei lavori parlamentari. E tra queste c’è pure l’agire violento della massa.
Aggiornato il 21 giugno 2017 alle ore 13:22