Ius soli e irrealismo della Chiesa

I due ragazzi veneti morti nel rogo di Londra erano laureati con centodieci e lode in architettura. Avevano lasciato l’Italia per trasferirsi nella capitale britannica per cercare un lavoro adeguato al loro livello d’istruzione e di preparazione. E si erano comportati come quei quattro milioni e ottocentomila giovani connazionali provvisti di istruzione superiore (la cifra è stata indicata dal Presidente della Commissione Episcopale Cei per le Migrazioni, monsignor Guerino Di Tora) che dal 2005 ad oggi hanno abbandonato il Paese per cercare quella occupazione dignitosa che non sono riusciti a trovare in Italia.

Insomma, esportiamo laureati e ormai da parecchi anni a questa parte importiamo giovani che non solo non conoscono la nostra lingua, ma hanno un livello d’istruzione talmente basso da poter essere utilizzati, senza un adeguato periodo di acculturamento e di preparazione, solo nei lavori manuali più umili e meno produttivi.

Per Guerino Di Tora i laureati italiani esportati lasciano un vuoto che deve essere riempito dai giovani migranti che sbarcano a ritmo quotidiano lungo le nostre coste. Dal suo punto di vista non c’è differenza alcuna tra i primi e i secondi. Sono tutti figli di Dio. E se c’è un vantaggio tra gli uni e gli altri è rappresentato dal fatto che i giovani migranti possono colmare quel deficit di natalità che grava sul nostro Paese a cui gli emigrati nostrani non possono ovviamente porre rimedio. La conclusione dell’autorevole rappresentante della Chiesa, in perfetta linea con l’insegnamento di Papa Francesco, è dunque che il problema della legge sullo Ius soli va affrontato e risolto nella convinzione che grazie ai migranti inseriti nel nostro Paese si possa “cercare di creare una società unita e composta non da gente già ideologizzata ma da coloro che sono giovani, non hanno remore ideologiche e vogliono collaborare per costruire una nazione nuova: una nuova generazione di giovani italiani che lavori insieme al bene comune”.

Purtroppo per la visione idilliaca del prelato, però, l’idea che si possano sostituire i giovani laureati italiani con i giovani tutti da formare provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente è totalmente irrealistica. Essere tutti figli di Dio e tutti uguali di fronte alla legge non elimina le differenze. E ci vuole solo una cieca visione ideologica o un religiosità portata all’estremo (anche questa tutta ideologica) per non capire che la delocalizzazione dei talenti e dei competenti e l’immissione di persone in grado di prolificare ma non preparate ad essere inserite in un mercato del lavoro maturo non porta alla formazione di una “nazione nuova”, ma solo alla regressione progressiva di quella presente e storica.

Il problema, allora, non è lo ius soli, che con qualche correttivo può essere tranquillamente approvato. È combattere l’irrealistico progetto della Chiesa di Bergoglio di cancellare le diversità e perseguire una idea di Paese in cui il compito di realizzare l’eguaglianza e l’equità verga assegnata al declino, alla povertà, alla cancellazione di ogni identità storica e culturale.

Mai come in questa fase storica serve un ritorno a un sano e razionale laicismo!

Aggiornato il 21 giugno 2017 alle ore 13:41