I Renzi: gruppo di famiglia in un interno

“Babbo, non dire bugie”. Non c’è più religione a questo mondo se adesso sono i figli a mettere in riga i padri. Un tempo avveniva il contrario. Ma da quando nei palazzi romani si è insediato il “giglio magico” il mondo va alla rovescia. Accade di leggere su “Il Fatto Quotidiano” la trascrizione di un’intercettazione telefonica di un colloquio tempestoso tra Renzi padre e Renzi figlio, nel quale l’ex-presidente del Consiglio, a proposito dello scandalo Consip in cui è chiamato pesantemente in causa il suo genitore, gli ingiunge di dire la verità. A chi? Non a Dio nelle sue preghiere ma ai magistrati della Procura di Roma che lo indagano per traffico illecito d’influenze. L’accusa si focalizza sulle presunte frequentazioni di Renzi senior con manager e imprenditori interessati a entrare nel business degli appalti pubblici. La telefonata risale alla mattina del 2 marzo scorso. Il nome di Tiziano Renzi viene fuori per un accostamento ai traffici dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, in carcere con l’accusa di corruzione per aver passato una mazzetta da 100mila euro a un alto funzionario della Consip nella prospettiva di essere agevolato nell’aggiudicazione di un appalto per la fornitura di servizi alla Pubblica amministrazione. Renzi padre lo avrebbe incontrato in una “cena di lavoro” per concordare una strategia di “assalto al cielo” della mega-torta Consip. È vero o no? C’è un testimone che lo inchioda.

Alfredo Mazzei commercialista napoletano, attivo negli ambienti partenopei del Partito Democratico, lo ha raccontato agli inquirenti. Ma l’interessato nega: quella cena non c’è stata. E, soprattutto, non sarebbe lui il “T” destinatario del cadeau da 30mila euro sonanti, di cui c’è traccia in un “pizzino” trovato in una perquisizione nell’ufficio di Romeo. Dall’intercettazione si coglie la preoccupazione del giovane Renzi che valuta la gravità della situazione per l’impatto che avrebbe sulla sua carriera politica. Da qui l’intimazione al babbo a non scherzare con i magistrati. “È una cosa molto seria... Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje”. Matteo non si fida della reticenza del genitore e teme. Tiziano conferma: nessuna cena, forse solo un incontro al bar. E infine una raccomandazione di Matteo che deborda in amore filale: non dire niente della mamma, altrimenti (i magistrati) chiamano anche lei. Insomma, un bel quadretto. Come titolerebbe Luchino Visconti: Gruppo di famiglia in un interno.

Le indagini successive, però, hanno appurato che davvero Tiziano Renzi non ha incontrato Romeo. Peggio, è emerso l’intento manipolatorio degli investigatori napoletani, che hanno avviato le indagini prima che passassero per competenza alla Procura delle capitale, nel truccare le carte dell’indagine trascinandovi dentro un familiare del ex-premier. A quale scopo? Probabilmente per dimostrare un teorema giudiziario destinato, come molti altri prima, a finire in bolle di sapone. Resta, tuttavia, qualche considerazione da fare sull’ennesima pubblicazione di un’intercettazione che, in via teorica, dovrebbe essere coperta dal segreto d’indagine. Colpisce la tempistica. Il “Fatto” riporta il testo di una pagina del libro di Marco Lillo fresco di stampa: “Di padre in figlio”. L’intercettazione è del 2 marzo scorso. Neanche sessanta giorni ed è già cotta e mangiata ad uso non di uno scoop giornalistico ma addirittura di una produzione letteraria. Ammazza che rapidità! Questo Marco Lillo, e con lui chi gli ha fornito il testo di un atto giudiziario che non avrebbe dovuto essere reso noto, è un primatista dell’alta velocità. Bando all’ironia: è uno schifo. Non è concepibile che vi sia un filo diretto tra certi ambienti giudiziari e altrettanti ambienti giornalistici che rende possibile la diretta streaming di ciò che accade nelle stanze delle procure. Poi, c’è da chiedersi, come al solito quando compaiono improvvise rivelazioni: cui prodest?

Ora, è noto che il signor Renzi non ci stia per niente simpatico e che, dal punto di vista del bene dell’Italia, valutiamo il suo ritorno alla guida del Paese alla stregua di una iattura. Cionondimeno, bisogna ammettere che il giovanotto sia stato messo sotto da quegli stessi poteri che prima lo hanno voluto, coccolato e assecondato, dopo lo hanno scaricato brutalmente e adesso ne ostacolano il ritorno al timone della nazione. Come non vedere un nesso con l’altra rivelazione che ha infiammato il dibattito negli ultimi giorni: la telefonata della ex-ministra Maria Elena Boschi all’Ad di Unicredit, oggi ex, Federico Ghizzoni per un interessamento su Banca Etruria? Anche in quel caso è stato un giornalista (Ferruccio de Bortoli) che, in un libro, depone l’“uovo d’oro” di una notizia destinata a cambiare il corso della politica. Avviene tutto per caso? Si fatica a crederlo. Da qualche parte c’è una regia che dosa gli interventi per portare il Paese verso un unico sbocco ad essa gradito che non è il medesimo a cui ambirebbero gli italiani. Ma quale? Lo scopriremo presto.

Aggiornato il 16 maggio 2017 alle ore 21:09