Le mani della ‘ndrangheta sull’accoglienza

L’altra notte, l’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro denominata “Johnny” ha condotto all’arresto di 68 persone affiliate al clan Arena che controlla le attività illecite nel tratto crotonese-catanzarese della costa ionica. Molti i reati ipotizzati nei provvedimenti di fermo firmati dal procuratore Nicola Gratteri e dall’aggiunto Vincenzo Luberto.

Si va dall’associazione a delinquere di stampo mafioso, all’estorsione, al porto e detenzione illegale di armi, all’intestazione fittizia di beni, alla malversazione ai danni dello Stato, alla truffa aggravata, alla frode in pubbliche forniture e altro ancora. Si tratterebbe di un’operazione di routine in una provincia del profondo Sud, se non fosse per il fatto che nella retata, insieme ai pesci piccoli e grandi del clan mafioso, sono finiti in manette anche un prete e il presidente di un ente benefico che ha la gestione del più grande centro di accoglienza immigrati nel Sud peninsulare: il Cara di Isola Capo Rizzuto. Il religioso in questione è don Edoardo Scordio, parroco di Isola Capo Rizzuto. Il “colletto bianco” è Leonardo Sacco, figura nota dell’associazionismo solidaristico cattolico e governatore della “Fraternita di Misericordia”, anch’essa di Isola Capo Rizzuto. Il loro arresto sarebbe collegato al coinvolgimento della cosca nella gestione del business dell’accoglienza degli immigrati. Fermo restando che per gli indagati vale ogni tutela garantista, ciò che la cronaca ci consegna è la certezza che lo scandalo di “Mafia Capitale” non possa considerarsi un unicum, una falla accidentale nella macchina dell’accoglienza rodata dai governi di centrosinistra.

Il blitz delle forze dell’ordine dell’altra notte è un salutare bagno di realismo. Sfrondata di tutti gli orpelli etici e ideologici che ammantano la questione migranti, chiunque può osservare la realtà traendone la seguente considerazione: lo spirito solidaristico non è la dominante nella dinamica dell’accoglienza. La motivazione che dà impulso al sistema resta prevalentemente di natura economico-affaristica. E se si parla di Mezzogiorno, purtroppo, si deve riconoscere la sussistenza di un’aggravante ambientale. Sarebbe da illusi pensare che dove c’è interesse economico non vi sia un’organizzazione criminale candidata a gestirlo. Nel Cara di Isola Capo Rizzuto sono ospitati 1500 immigrati. Le risorse pubbliche destinate al funzionamento della struttura, secondo gli investigatori, sono di oltre 100 milioni di euro. Di questi almeno 30 sarebbero finiti nelle casse della ‘ndrangheta. Tuttavia, il dato da solo non aiuta a rappresentare a pieno le dimensioni del fenomeno. Bisogna farsi un’idea della capacità che le mafie hanno di creare indotto.

Manovrare a propria discrezione, attraverso la cinghia di trasmissione dei “colletti bianchi”, l’assegnazione degli appalti per le forniture di beni e di servizi ai centri d’accoglienza (Cara) è di per sé un incubatore di ricchezza. Ricchezza illecita, ma pur sempre ricchezza che, paradossalmente, ha delle ricadute occupazionali sul territorio talvolta maggiori di quelle che lo Stato e l’economia legale sono in grado di assicurare. Dire che mafia, camorra e ‘ndrangheta, nei territori del Sud, sono l’antistato non è “savianizzarsi”. Fenomeni come quello scoperchiato la scorsa notte sono la drammatica conferma di un handicap dal quale la parte sana della società meridionale fa fatica ad affrancarsi. Per fare esplodere tutte le contraddizioni che il sistema dell’accoglienza sta nutrendo bisogna che si scavi a fondo, fino a portare alla luce le sinapsi che connettono segmenti funzionalmente decisivi della filiera della solidarietà alla criminalità organizzata. È solo questione di tempo e di volontà politica di non impedire agli inquirenti di fare il loro lavoro. Come è accaduto in altre grandi emergenze, dalle ricostruzioni del dopo-terremoto allo smaltimento illegale dei rifiuti, anche per l’odierna questione dell’accoglienza verrà a galla l’intreccio perverso tra princìpi solidaristici legittimi e interessi criminali.

Ma resta il dubbio che, di là dalle buone intenzioni, la musica non cambierà almeno fin quando ci sarà un potere forte (la mafia in tutte le sue declinazioni) in grado d’impartire l’ordine al potere debole (l’odierno teatrino della maggioranza governativa) di non chiudere la fonte miracolosa da cui zampilla danaro invece che acqua.

Aggiornato il 15 maggio 2017 alle ore 19:49