Se Franceschini corteggia Berlusconi

Sono tempi bizzarri quelli in cui viviamo. Succede di tutto. Anche che Dario Franceschini, da sempre fiero odiatore del personaggio Silvio Berlusconi, oggi gli rivolga un appello fraterno invitandolo a lasciare gli alleati della destra radicale per intraprendere una nuova avventura centrista. Se non fosse che Franceschini è persona seria e di sofisticati ragionamenti, ci sarebbe da sospettare che abbia alzato il gomito prima di concedere l’intervista al “Corsera” che contiene la proposta al leader del centrodestra. La riflessione che svolge il ministro della Cultura è la seguente: per stare in linea col mainstream europeo bisogna concentrarsi al centro e tagliare i ponti con le ali estreme dello schieramento politico.

Per Franceschini, il Pd renziano avrebbe fatto la sua parte sbattendo la porta in faccia alla sinistra-sinistra dei Fratoianni e dei D’Alema, ora però toccherebbe a Berlusconi adeguarsi dicendo addio a Fratelli d’Italia e Lega. Il ministro cita il recentissimo epilogo della corsa all’Eliseo in Francia e ricorda all’interlocutore la fedeltà che Forza Italia deve alla sua famiglia europea d’appartenenza: il Partito Popolare Europeo. Il rassemblement che a Bruxelles tiene insieme la signora Angela Merkel e il piccolo despota magiaro Viktor Orbán non attenderebbe altro che vedere un riallineamento di Berlusconi su posizioni marcatamente anti-populiste.

Per Franceschini il ritorno del figliol prodigo all’ovile dei moderati meriterebbe il varo di una legge elettorale che non dispiaccia al Cavaliere e che funzioni da viatico per una nuova stagione all’insegna della Grosse Koalition. Insomma, Berlusconi come il “republicain” François Fillon che, da sconfitto, si è pronunciato per Macron e non per la Le Pen; come l’olandese Mark Rutte, il conservatore che ha vinto contro il populista oltranzista Geert Wilders. Un’idea da coltivare se non fosse una trappola. L’”anomalia” berlusconiana di cui si duole Franceschini è quella felicissima intuizione politica che ha impedito al Paese di vedere all’opera una destra rancorosa e avventurista. Ciò che chiede il ministro non si può fare per il semplice motivo che una rottura della coalizione di centrodestra porterebbe qualche beneficio elettorale al Partito democratico e nessun vantaggio alla causa della stabilità del sistema politico. Dimentica il ministro che in Italia lo scivolamento verso il centro delle forze politiche antagoniste nella stagione del bipolarismo ha prodotto l’esplosione, in termini elettorali, del fenomeno Cinque Stelle.

Sebbene la persona Berlusconi sia animata da sinceri propositi moderati, il leader di Forza Italia che lui incarna non può ignorare l’ostilità del suo elettorato verso soluzioni di compromesso con il centrosinistra, già vissute alla stregua di autentici inciuci di potere. La parantesi del Nazareno né è la prova. Prima dei cedimenti a Renzi il partito azzurro viaggiava su una media di consenso superiore al 20 per cento. Dopo i mesi del “patto” la fiducia in Forza Italia si è dimezzata. Per non parlare della disastrosa impresa centrista alle elezioni comunali di Roma. La rottura con Giorgia Meloni ha determinato, oltre che la vittoria fuori misura della grillina Virginia Raggi, la quasi sparizione del partito berlusconiano dalla scenario capitolino. Oggi Forza Italia risale nei sondaggi ma la costante preoccupazione dei dirigenti del partito resta focalizzata sulla chiarezza del messaggio da inviare agli elettori: nessun equivoco sul quadro delle alleanze.

Il fatto che Emmanuel Macron l’abbia spuntata in Francia non vuol dire nulla. Certamente non significa che le ricette imposte da Bruxelles siano giuste. Il malcontento e il disagio continuano a crescere in una Paese a bassa crescita che vanta il non invidiabile primato di 4milioni di poveri assoluti a cui dover dare risposta. Lasciare che la protesta sociale sia per intero appannaggio delle forze oltranziste è sbagliato. E pericoloso.

Il dialogo costruttivo aperto nel centrodestra consente alle forze liberali e riformatrici di giocare un ruolo di mediazione e di temperamento delle istanze che i populisti intercettano. Franceschini, per suoi interessi di bottega, finge di non comprenderlo: il nemico da battere non è l’oltranzismo innocuo dei Salvini e Meloni ma il “qualunquismo” idroponico del movimento grillino che è la vera anomalia di cui in Italia, e in Europa, ci si dovrebbe preoccupare.

Aggiornato il 09 maggio 2017 alle ore 19:08