
Emmanuel Macron è il nuovo presidente della Repubblica francese. Ora, c’è poco da filosofeggiare: ha vinto lui e Marine Le Pen ha perso. Che poi il giovanotto sia all’altezza del compito è un’altra storia. Non è la prima volta che un’inattesa cometa attraversi il firmamento delle democrazie occidentali. Prima di lui Bill Clinton, Tony Blair, Barack Obama, David Cameron, Matteo Renzi si sono proposti come il nuovo che avanza ma, messi alla prova della realtà, hanno parecchio deluso. Macron potrebbe essere l’ultimo, in ordine di tempo, di una blasonata stirpe di perdenti di successo che ha promesso tanto, parlato bene e razzolato male. Si vedrà.
Per ora stiamo ai fatti, anzi ai numeri. Se qualcuno dalle parti del pollaio-Italia pensa di usare il successo del giovane tecnocrate di Amiens, pupillo dell’establishment transalpino e delle élite che regnano a Bruxelles, per sostenere che il populismo sia stato definitivamente arginato, sbaglia di grosso. Perché il voto al leader di “En Marche!” ha beneficiato della pregiudiziale anti-Front National che ha fatto aggio su qualsiasi altra considerazione di natura politica. Se infatti si sommano le intenzioni di coloro che hanno espresso, in forme diverse, un giudizio negativo verso una continuità della politica francese rispetto alla posizione da status quo filo-europeista dell’uscente François Hollande, si fa una scoperta sorprendente. Macron ha ottenuto il 65,68 per cento rispetto al 34,32 per cento della Le Pen. Ma dei 46 milioni 303mila 662 elettori, ben 11 milioni 416mila 454 si sono astenuti, cioè il 24,66 per cento. Si deduce che a votare si sia recata una percentuale insolitamente bassa per la tradizione democratica francese. Inoltre, sono state conteggiate 2 989 270 schede bianche e 1 056 125 nulle, per un totale in percentuale di 11,60 punti. Ciò la dice lunga sulla volontà di un terzo dell’elettorato di non schierarsi con nessuno dei due sfidanti. A Marine Le Pen sono andati 10 milioni 584mila 646 voti. Secondo un’indagine di Ipsos France, dei 20 milioni 257mila 167 di consensi dati a Macron il 43 per cento ha motivato la scelta con “la volonté de faire barrage au Fn” cioè di sbarrare la strada al Front National. Hanno quindi convintamente votato Macron all’incirca 8 milioni 712mila francesi, cioè il 18,8 per cento degli aventi diritto. Meno di un elettore su cinque ha detto sì al suo programma di governo.
Dunque, non ha vinto l’Europa della finanza e dell’austerity anche se è riuscita a piazzare un suo uomo a guardia dell’Eliseo. E neppure è passato il messaggio apocalittico di un populismo capace di denunciare il malessere diffuso soprattutto tra i ceti bassi della popolazione ma impreparato a fornire soluzioni affidabili e rassicuranti. Per Marine Le Pen la sconfitta potrebbe rivelarsi salutare. La “dama” di Francia è solo all’inizio di un percorso che si concluderà quando il suo movimento si sarà definitivamente liberato della pesante eredità di un passato ambiguo, intessuto di nostalgie imperialiste e di simpatie fasciste. Marine non è suo padre Jean-Marie. Lo abbiamo detto in passato e oggi riceviamo conferme. Il Front National di Marine è un working in progress che punta a sagomare un diverso profilo per la destra del terzo millennio. Ma se vorrà essere credibile il Front National dovrà negare se stesso. Anche nel nome.
A Marine toccherà l’ardua impresa di riposizionare il movimento su nuove parole d’ordine, facendo propria una parte significativa di quello spirito gollista che oggi non riceve più impulso dai bolsi epigoni del “generale”. Insomma, la “Rosa blu” dovrà prendere il posto della fiamma tricolore nel cuore e nella mente di un popolo fortemente identitario, ancorato alle sue tradizioni religiose, profondamente legato all’autonomia statuale nel contesto globale e all’indipendenza sovrana delle sue istituzioni nazionali, rispetto ai poteri sovraordinati dell’Unione europea. La Dama di Francia sempre più “Marine” e sempre meno “Le Pen” si è detta pronta a compiere un passo avanti sulla via dell’emancipazione dalla sua storia opaca. Ma dovrà sbrigarsi se intende legittimarsi come capo di un’opposizione patriottica a Macron. Il rinnovo del Parlamento, previsto per il prossimo mese di giugno, sarà l’occasione per dare prova ai francesi, e all’Europa, che cambiare si può. E che un sovranismo intelligente e non isterico, capace di offrire alternative praticabili alla mondializzazione selvaggia e al mercatismo, è possibile.
Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 18:25