Il realismo che manca alla Chiesa di Bergoglio

Papa Francesco ha perfettamente ragione quando definisce i centri d’accoglienza per i profughi dei “campi di concentramento”. Se avesse voluto usare termini più forti avrebbe potuto parlare di lager o di gulag. E non avrebbe avuto torto neppure in quel caso. Perché i luoghi dove vengono rinchiusi i migranti che sbarcano in massa sulle coste italiane hanno tutte le caratteristiche dei luoghi di dolore e di degrado in cui finivano gli oppositori dei regimi totalitari del secolo scorso. Naturalmente, definire gulag o lager i centri di raccolta dei migranti sarebbe stata e sarebbe una forzatura. Ma non si tratterebbe di una forzatura del tutto estranea alla tesi di Papa Bergoglio secondo cui i migranti del tempo presente possono essere considerati come i perseguitati del secolo passato, gli “ultimi” verso cui ogni autentico cristiano deve manifestare il massimo del sostegno e della solidarietà.

Ma basta riconoscere che il Pontefice non sbaglia quando parla di campi di concentramento per i profughi per aver trovato un’alternativa a questi lager o gulag dei nostri giorni? La verità, purtroppo, è che ha il Papa argentino ha ragione su una definizione, ma non tiene conto che a questa definizione e a questo tipo di organizzazione della prima accoglienza dei migranti non esiste alternativa realistica. Dove far dormire, sfamare, curare, censire le migliaia e migliaia di persone che arrivano quotidianamente nel nostro Paese? Esiste un altro modo al di fuori della loro raccolta in strutture apposite che fatalmente assumano la forma di campi con baracche, dormitori, docce comuni e pasti collettivi a orari fissi?

La risposta è una sola: non esiste alcun altro modo. L’accoglienza senza limiti porta fatalmente i campi di concentramento. Di cui si può dire tutto il male possibile e immaginabile, ma di cui non si può fare a meno per poter tenere sotto controllo un fenomeno che in caso contrario scatenerebbe delle tensioni insopportabili nella società di un qualsiasi Stato. Anche dello stesso Stato del Vaticano, che può accogliere per una volta i dodici profughi di Lesbo ma che avrebbe bisogno di trasformare i propri giardini in un campo di concentramento se, invece di dodici, i profughi fossero qualche migliaio.

Il dramma, purtroppo, è che i buoni propositi debbono sempre confrontarsi con la realtà. Altrimenti diventano come le pietre che lastricano la strada diretta verso l’inferno. E questa realtà sembra essere l’ultima preoccupazione a cui la Chiesa di Francesco sembra rivolgere un minimo di attenzione. Con la conseguenza che la coscienza si salva, ma i problemi concreti s’ingigantiscono

Aggiornato il 02 maggio 2017 alle ore 17:28