
Era inevitabile che, di fronte a una notizia falsa potenzialmente pericolosa, i (finti) sostenitori della libertà di opinione - i garantisti de’ noantri - si trasformassero nei più accesi fautori della repressione. Così come la necessità fa l’uomo ladro, l’apparente diversità dei temi giustifica l’invocazione della pena.
La clamorosa sciocchezza della nocività dei vaccini porta (fortunatamente) alla ribalta un tema di cui dovremmo occuparci seriamente. Chiariamo le cose. Se si pubblica una notizia che racconta di quanto siano ladri i politici che si sono aumentati il vitalizio gravando di 10 miliardi il dissestato bilancio statale, nulla quaestio. Se si dice che il signor Presidente della Repubblica esorta a “tagliare” i nostri vini (l’ho letta oggi), va bene. Per i vaccini, invece, no. Per i vaccini non va bene. Eppure, basterebbe pensare che, a differenza dei due esempi fatti sopra, il divulgatore della (scientificamente falsa) notizia sui vaccini è (o può essere) in buona fede e, quindi, sostenere una tesi in cui crede. Il che ci porta a constatare ciò che i finti garantisti non vogliono vedere o ammettere: la distinzione tra tollerabile e meritevole di pena non sta nella falsità, ma nel pericolosissimo e soggettivo concetto di rischio, che equipara le pure e semplici notizie al procurato allarme. Questi pseudo liberali non riescono a capire che in una società evoluta il reato di abuso della credulità popolare è un atto di arroganza, proprio di chi si reputa superiore al popolino pronto ad abboccare ad ogni amo.
Io non cambio idea. Penso di questa storia la stessa cosa che penso del negazionismo: è una sciocchezza voluta da chi si alimenta di oscurantismo e teme le idee. Resta fermo, però, il giudizio negativo sulla qualità dell’informazione e, soprattutto, sulla condotta dei giornalisti che hanno diffuso la notizia. Io non contesto affatto la loro libertà di sostenere posizioni sgradite o, addirittura, errate. Possono farlo. Nondimeno, se vogliono essere dei giornalisti e non dei tribuni, devono dare conto di tutte le tesi contrapposte, rappresentando gli argomenti a favore dell’una e dell’altra, prima di schierarsi. In democrazia, infatti, funziona così: la gente si informa e sceglie. Insomma: Report ha dato un pessimo esempio di giornalismo non perché ha diffuso una notizia falsa, ma perché non ha fatto informazione. Da qui alla censura, in ogni caso, c’è ancora molta distanza.
Aggiornato il 26 aprile 2017 alle ore 15:19