
Ciò conferma la netta impressione di un Paese economicamente inchiodato, sempre pronto a promuovere crociate contro l’apertura del mercato interno alla concorrenza e incline a bollare come competitori sleali tutti quei sistemi che da tempo hanno accettato fino in fondo le logiche della globalizzazione.
Occorre inoltre ricordare, a beneficio di chi attribuisce ogni malanno economico alla moneta unica, che nel periodo 1995/2015 - dunque a partire dai tempi della tanto rimpianta liretta - la stessa produttività oraria in Italia è cresciuta ad una media annuale dello 0,3 per cento, contro l’1,6 per cento dell’intera Unione europea, l’1,6 per cento della Francia, l’1,5 per cento di Germania e Regno Unito e lo 0,6 per cento della Spagna.
Quindi, in estrema sintesi, se uniamo tutto ciò alla crisi demografica in atto da tempo e a un tasso di occupazione tra i più bassi nel mondo avanzato, viene fuori un elemento che continua a essere oggetto di rimozione da parte dell’intera comunità nazionale: la torta di risorse da redistribuire diventa continuamente più piccola. In pratica, a fronte di una politica che si ostina a promettere crescente protezione economica in cambio di consensi, il Paese reale tende a creare sempre meno valore aggiunto, avvitandosi in una spirale in cui a crescere sono solo la spesa pubblica, la fiscalità e l’indebitamento complessivo del sistema.
Di fatto la decrescita è già in atto da tempo, ma essa non ci condurrà alla felicità, così come pensano alcuni nostri profeti del nulla, ma solo a una triste e infima miseria.
Aggiornato il 29 aprile 2017 alle ore 13:09