Gli sviluppi del caso Consip, quelli che sembrano scagionare il padre di Matteo Renzi, hanno improvvisamente folgorato sulla strada dell’anti-giustizialismo quanti avevano per anni e anni negato l’esistenza della giustizia usata come strumento di lotta politica. Oggi quelli che denunciavano il “garantismo peloso” dei pochi consapevoli che l’uso politico dell’arma giudiziaria avrebbe provocato non il trionfo della legalità ma il progressivo imbarbarimento del Paese, sono i più fervidi e convinti contestatori della strumentalizzazione politica fatta a suo tempo del caso Consip allo scopo di screditare e danneggiare Matteo Renzi, la sua famiglia e il suo sistema di potere.

Non c’è da compiacersi per questa conversione. E non perché possa essere insincera e strumentale. Ma perché inguaribilmente e drammaticamente tardiva. Non sarà il garantismo improvvisamente scoperto a beneficio di Renzi che riuscirà a cambiare quella cultura divenuta egemone nel Paese secondo cui gli unici detentori della legalità in un Paese votato antropologicamente alla corruzione e al malaffare sono i pubblici ministeri delle Procure e i media che se ne fanno portavoce e paladini.

Si può sperare, ovviamente, che il caso Consip possa incominciare a intaccare questo assioma che non ha bisogno di prove e dimostrazione secondo cui non c’è legalità al di fuori della pubblica accusa. Ma immaginare che questo accenno di inversione di tendenza possa portare rapidamente dal giustizialismo assoluto al ritorno al garantismo dello Stato di diritto è una pura illusione. Prima che la degenerazione giustizialista passi bisognerà assistere all’ultimo atto del suo processo di disfacimento delle istituzioni. Quello dell’autodistruzione del principio che la legalità è nelle mani dei Pm.

I primi segni di questa autodistruzione sono già visibili. Il vero dramma del caso Consip non è legato alla colpevolezza o alla innocenza del padre di Renzi, ma è costituito dallo scontro in atto tra la Procura e i Pm di Napoli e la Procura e i Pm di Roma, scontro che coinvolge non solo le toghe (casi del genere già si sono verificati in passato) ma che questa volta si allarga fino a toccare l’Arma del carabinieri. Dov’è la vera legalità? Nella Procura di Napoli o in quella di Roma? E chi sono gli strumenti di legalità più affidabili? I carabinieri del Noe o quelli dei reparti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria per conto dei magistrati della Capitale?

Grande è la confusione sotto il cielo. Ma, a differenza di quanto diceva Mao, la situazione non è affatto eccellente!

Aggiornato il 02 maggio 2017 alle ore 23:28