
Il “Decreto Mezzogiorno” per il Sud non rappresenta una svolta. Ma, di certo, costituisce un’opportunità. Secondo una norma contenuta nello stesso decreto e intitolata “Principi per il riequilibrio territoriale”, inserita su proposta del ministro della Coesione territoriale e del Mezzogiorno Claudio De Vincenti, le amministrazioni centrali dello Stato dovranno destinare alle Regioni del Mezzogiorno, a partire dal 2018, una quota della loro spesa ordinaria in conto capitale, proporzionale alla popolazione. Il quantum dovrebbe essere definito da una direttiva e da un decreto della Presidenza del Consiglio, che saranno emanati entro il prossimo 30 giugno.
A questo proposito, è stato condotto un interessante studio d’impatto dell’associazione Svimez, messo a punto dal presidente Adriano Giannola e dal ricercatore Stefano Prezioso. Lo studio dell’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno ha evidenziato gli effetti della clausola del 34 per cento, che, in base all’ultimo censimento Istat, corrisponde alla quota di abitanti delle otto regioni meridionali.
Secondo quanto riportato nell’analisi, se negli ultimi sei anni, dal 2009 al 2015, fosse stata attivata la clausola, la perdita del Pil del Mezzogiorno sarebbe stata pari al -5,4 per cento, mentre il calo effettivo è stato del -10,7 per cento. I medesimi effetti si sarebbero registrati per l’occupazione. Infatti, la diminuzione sarebbe stata pari a -2,8 per cento, invece dell’effettivo -6,8 per cento. Tradotto, vuol dire che si sarebbero persi non mezzo milione di posti di lavoro, ma circa 200mila. In pratica, si sarebbero potuti “salvare” circa 300mila lavoratori. Secondo la norma di legge, i programmi di spesa in conto capitale delle amministrazioni dovranno essere individuati annualmente, analizzando, voce per voce, tutte quelle ripartibili nei vari ministeri. Si tratta, con buona pace del governo, di un lavoro delicato e complesso. Che, secondo la Svimez, richiede competenze adeguate per essere svolto.
Già in passato è stato posto il problema di destinare una quota specifica della spesa in conto capitale dello Stato a favore del Sud: nei Documenti di programmazione economica e finanziaria successivi al ciclo dei fondi strutturali 2000-2006. Quando l’obiettivo è stato fissato al 30 per cento delle risorse ordinarie e al 45 per cento di quelle totali e, successivamente, nella Finanziaria del 2005, in cui è stato scritto che le amministrazioni centrali devono conformarsi all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno almeno il 30 per cento della spesa ordinaria in conto capitale. Ma in seguito, con il Dpef 2009-2011, il programma di una ripartizione territoriale della spesa totale in conto capitale non viene più indicato.
In buona sostanza, la misura contenuta nel “Decreto Mezzogiorno” dovrebbe, nelle intenzioni del governo, ridurre il divario economico e sociale tra Sud e Centro-Nord. Ma la domanda è d’obbligo: si tratta di un evento di straordinaria rilevanza politica, come sostiene la maggioranza di governo, o di un passaggio formale di difficile applicazione? Già. Perché occorre verificare, nella pratica, un aspetto dirimente: come si traduce nella realtà il principio di leale collaborazione tra i vari soggetti istituzionali coinvolti? Si tratta di un elemento di valutazione di assoluta importanza. La sinergia tra Stato, Regioni ed Enti locali, infatti, è sempre stata contrassegnata da un rapporto di complicate convergenze.
Ma a questo punto è inevitabile costituire un tavolo permanente di concertazione volto al confronto tra il governo e le altre istituzioni regionali. Un vero e proprio coordinamento che abbia un unico obiettivo: il rilancio del Meridione d’Italia. Ovviamente, bisogna pure sperare che Bruxelles non si metta di traverso. In ogni caso, l’esecutivo deve fare di più. Il governo dovrebbe porre, con maggiore convinzione, il Sud in cima alla sua agenda. Sarebbe auspicabile, in particolare, il varo di un “Patto per la Sicilia”. Un’attenzione particolare per l’isola, che versa da tempo in una situazione di grave disagio. Staremo a vedere. Occorre continuare a vigilare.
Aggiornato il 29 aprile 2017 alle ore 16:03