Nuovi nazionalismi: di chi la colpa?

Esiste, di là dalla retorica di “Ventotene”, una concreta visione unitaria dell’Europa? Evidentemente no. Piuttosto esistono, e si consolidano, interessi nazionalistici che sfruttano meccanismi regolatori comunitari, in sostituzione degli strumenti tradizionali della guerra e della pressione politica, per definire rapporti di forza e gerarchie all’interno dell’Unione europea. Si fa un gran parlare di nazionalismi emergenti a proposito delle azioni di contrasto a fenomeni di ampia portata quali, ad esempio, l’assorbimento dei grandi flussi migratori. Si dipingono a tinte fosche le prospettive di scenario che vedono avanzare nel consenso partiti e movimenti genericamente classificati populisti ma nulla si dice della forma più subdola e strisciante di nazionalismo, quello economico, che, invece, prospera nell’ambito dell’Unione.

Lo prova l’ultima polemica, in ordine tempo, che il governo tedesco ha mosso contro il nostro Paese a proposito della vicenda del “Dieselgate”. È di queste ore la dura presa di posizione del ministro dei trasporti tedesco, Alexander Dobrindt (nella foto), che accusa apertamente il nostro governo di aver coperto la casa automobilistica Fca nell’uso di dispositivi illegali di spegnimento di alcuni modelli di auto. Per riparare a questo presunto abuso, Dobrindt invoca l’intervento sanzionatorio della Commissione europea contro l’Italia e l’imposizione del ritiro dal mercato delle produzioni incriminate. I nostri vertici governativi hanno risposto alle accuse tedesche con toni piccati ricordando ai cugini teutonici che meglio farebbero a guardare in casa loro dove, con la storia della truffa realizzata da Volkswagen a danno dei consumatori, non hanno rimediato una bella figura.

In realtà, la Germania attacca Fiat-Chrysler (Fca), peraltro sempre meno legata al sistema produttivo italiano, per recuperare quote di mercato perse dalle sue industrie di settore a seguito dell’esplosione dello scandalo “Dieselgate”. L’establishment tedesco non vuole concedere alcun vantaggio competitivo ai propri concorrenti e chiama in campo la politica per piegare ai propri interessi di bottega le istituzioni comunitarie. Benché non si abbia alcuna simpatia per la famiglia Agnelli e per Sergio Marchionne, che dopo aver abusato degli aiuti dello Stato italiano ci hanno voltato le spalle spostando Oltreoceano il core-business della più grande azienda privata italiana, dobbiamo ammettere che la manovra tentata dalle autorità tedesche è una carognata. A Berlino cercano di sfruttare il momento di debolezza della Fca negli Stati Uniti, messa sotto pressione da un’indagine federale su presunte violazioni delle norme sul controllo delle emissioni inquinanti delle autovetture, per rubarle clienti.

Cos’è questo se non nazionalismo asservito a interessi economici di parte? Preoccuparsi di qualche idiota con la testa rasata che va in giro a sventolare croci uncinate e non guardare quale grado d’oppressione economica si stia realizzando in Europa grazie alle manipolazioni politiche dell’Ue messe in atto dalla Germania, significa ostinarsi a vedere il dito e non la luna. Non lo dice un Matteo Salvini qualsiasi ma lo mettono nero su bianco gli analisti del “National Intelligence Council” nel report “Global Trends 2035 - Paradox of Progess” che l’Europa dei decenni futuri sarà condizionata dall’egemonia tedesca in un contesto di Paesi-membri sempre più indeboliti dalla crisi di fiducia delle opinioni pubbliche nella tenuta del paradigma liberale. Possiamo dirci soddisfatti di una previsione che delinea uno scenario europeo tanto deludente? E per rispondere a questa perdita di prospettiva del modello d’integrazione del Vecchio Continente è sufficiente buttare la croce sul populismo insorgente? Ma il nuovo nazionalismo di cui ci lamentiamo è causa o sintomo della malattia? È fin troppo facile prendersela con qualcun altro negandosi a una sana autocritica. Almeno per una volta nella vita.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:56