Referendum 2016: la Destra s’è desta

È stata una grande giornata per la democrazia perché ha vinto il “No” e perché è stata impressionante la partecipazione al voto. Quasi il 70 per cento degli italiani ha sentito il dovere di pronunciarsi su una riforma costituzionale sbagliata e sul Governo Renzi.

Il verdetto è di quelli senza appello: Costituzione invariata e Governo sfrattato. Più chiaro di così. La spallata decisiva per la vittoria del “No” è venuta da quell’ampio segmento di elettorato di destra che in passato aveva disertato le urne per ritirarsi sull’Aventino di un disperante astensionismo. Il popolo, che per lungo tempo è stato orgogliosamente berlusconiano, è tornato a far sentire la sua voce in modo inequivocabile.

Ora è necessario che la classe dirigente del centrodestra, in particolare quella di Forza Italia, colga il senso profondo di un messaggio che ha il sapore dell’ultima chiamata. È stato bocciato un modello di democrazia basato sulla sottrazione. Sottrazione della sovranità popolare, sottrazione del diritto fondamentale all’espressione di voto attraverso il suffragio universale, sottrazione di poteri ai territori mediante l’accentramento delle decisioni dalla periferia al centro del sistema istituzionale. Ma è stato un “No” anche contro l’urticante narrazione renziana di un Paese che non esiste. È stato un “No” a un Governo appiattito sui diktat dell’Europa e dei “poteri forti” della finanza internazionale. È stato il “No” potente e assordante a una politica che si è messa in affari con gli scafisti africani per lucrare sul business degli immigrati.

Adesso che è stata archiviata la parentesi renziana il centrodestra ha la chance di tornare a guidare il Paese. Tuttavia, perché ciò accada, esso deve compiere scelte chiare e coerenti con il messaggio ricevuto. Tradotto: niente inciuci da “grosse koalition”. Basta pasticci in salsa nazarena. Come i dati dimostrano anche i “mitici” moderati hanno fatto sapere alla classe dirigente del centrodestra che la strada giusta non è quella di un neo-centrismo camuffato sotto la formula ipocrita “per-il-bene-del-Paese” ma, al contrario, quella di politiche dirompenti a vantaggio degli sconfitti della globalizzazione selvaggia e dello strapotere del capitalismo finanziario transnazionale. Se Renzi domenica è stato sconfitto, Angelino Alfano e soci sono stati sepolti. Chiunque tentasse, improvvidamente, di risuscitarne l’esperienza ribaltonista della volontà popolare sarebbe destinato a uguale destino. Ma la gente comune, quella che combatte la battaglia della sopravvivenza quotidiana, si è anche stufata di ascoltare i vaneggiamenti delle variopinte “compagnie dei celestini” affollate di finti-destrorsi, come quelli de “Il Foglio” che tutto sanno, tutto capiscono e mai ci azzeccano. Se gli italiani di destra hanno dato la spallata decisiva per buttare fuori dalla porta Matteo Renzi non hanno alcuna voglia di rivederlo rientrare dalla finestra grazie a un qualche pastrocchio sfornato con la complicità di Forza Italia. Da oggi il cammino deve riprendere con un obiettivo chiaro: nuova legge elettorale e poi elezioni.

Il centrodestra deve puntare a riconquistare quell’altra parte del suo elettorato deluso che, nel recente passato, si è rivolto al Movimento Cinque Stelle. Prosciugare il serbatoio di voti grillini è l’imperativo categorico impegnativo per tutti. Lo abbiamo detto ripetutamente: i Cinque Stelle rappresentano nella politica italiana un organismo parassita che si alimenta della sostanza vitale altrui: ricondurre in capo al centrodestra la titolarità della proposta politica alternativa al blairismo renziano significa neutralizzare il pericolo della loro ascesa al governo del Paese. Il futuro non è Renzi e neppure Grillo. Come nel resto del mondo occidentale il futuro è a destra, purché si compiano le scelte giuste. Non è più tempo di fare harakiri.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58