Renzi: garanzia di instabilità

Con la vittoria del “Sì” Matteo Renzi procederà all’esecuzione di massa (ovviamente in termini metaforici, anche se non è azzardato pensare che non gli dispiacerebbe affatto farlo materialmente) dei suoi nemici interni. Ed in caso di vittoria del “No” e di sue preannunciate dimissioni da Presidente del Consiglio si affretterà a creare le condizioni per andare al più presto ad elezioni anticipate per liquidare da segretario del partito i componenti della dissidenza interna e trasformare il Pd nel Partito di Renzi.

In un caso o nell’altro il regolamento di conti all’interno del Partito Democratico, che grazie al “Porcellum” gode di una salda maggioranza alla Camera e grazie ai transfughi di Angelino Alfano e Denis Verdini usufruisce di una maggioranza meno solida al Senato, produrrà come conseguenza inevitabile una fase di forte instabilità politica. Non è facile prevedere quanto potrà essere la durata di questa instabilità. Probabilmente il tempo necessario per dare vita ad una nuova legge elettorale ed andare al voto entro il 2017. Ma anche se il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riuscisse ad evitare il voto anticipato attraverso un Governo di transizione destinato a far giungere la legislatura alla sua conclusione naturale, è fin troppo evidente che da lunedì prossimo il Paese entrerà, qualunque sia il risultato del referendum, in una campagna elettorale più dura e tormentata della campagna referendaria.

È falso, allora, quanto affermato da Matteo Renzi secondo cui con un successo del “Sì” verrebbe garantita la stabilità politica. È vero l’esatto contrario. Aver impostato il referendum come un plebiscito sulla sua persona ha lacerato profondamente la società nazionale ed il partito di maggioranza relativa e creato un incendio che potrà essere spento solo dal voto politico degli italiani. Con l’aggravante che l’eccesso di personalizzazione compiuto dal Premier sul referendum si trasferirà sulla prossima campagna elettorale, trasformandola nella partita decisiva non delle sorti del Paese ma delle sorti di Matteo Renzi. Il tutto mentre, a dispetto della propaganda di stampo sudamericano (Renzi come Chávez) prodotta dalla stragrande maggioranza dei media asserviti, la crisi non si ferma e l’azione del Governo tesa a fronteggiarla si rivela sempre più debole ed inutile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:06