Il marchio d’imbecillità de “L’Economist”

L’osservazione più acuta e centrata de “L’Economist” non è quella, scontata, del pericolo costituito dall’eventualità dell’“uomo solo al comando”. Non avevamo bisogno dell’altezzoso settimanale inglese per sapere che l’intreccio tra una riforma costituzionale bislacca ed una legge elettorale distorta può portare a realizzare il sogno niente affatto nascosto di Matteo Renzi di diventare il padrone d’Italia per i prossimi vent’anni. E non è neppure quella che in caso di vittoria del “No” al referendum non arriverà alcun tipo di diluvio universale ma si darà vita ad uno dei tanti governi (tecnici, istituzionali, di transizione) a cui si è ricorso nella storia del nostro Paese per far decantare le situazioni politiche in stallo e tornare alla normalità con il ricorso alle elezioni politiche. Anche in questo caso non c’è bisogno di rappresentare la finanza che conta a livello internazionale per scoprire l’acqua calda della vita pubblica nazionale.

Invece l’osservazione più illuminante de “L’Economist” è quella, più banale ma anche meno frequentata dagli osservatori interni ed esteri, relativa alla circostanza che due anni di attenzione spasmodica su una riforma costituzionale inutile rappresenta la conferma della incapacità del nostro Paese di effettuare le riforme effettivamente necessarie per restare al passo con i tempi.

In altre parole, il settimanale inglese ha spiegato che è stata una grande illusione, una vera e propria truffa politica e culturale, l’aver costretto gli italiani a considerare riforma il passaggio dal bicameralismo perfetto a quello sbilenco, l’abolizione di un Cnel di fatto già abolito e la creazione di un nuovo rapporto tra Stato e Regioni che non migliora ma aggrava la disparità tra enti locali e potere centrale. Aver fatto credere che queste misure fossero una grande riforma è servito solo a nascondere l’incapacità di affrontare i temi delle riforme reali, quelli relativi ad una giustizia giusta, ad una economia libera dalla zavorra di una burocrazia amministrativa che la uccide, ad istituzioni effettivamente più snelle ed efficienti.

Bisogna ammetterlo! L’osservazione più giusta de “L’Economist” è che dopo due ani di discussioni continue e dopo una campagna referendaria che ha lacerato e spaccato a metà il Paese, il 4 dicembre gli italiani andranno a votare per una riforma fasulla che svela l’incapacità di realizzare quelle vere e realmente necessarie. Il ché non è solo una presa di posizione in favore del “No”. È soprattutto un marchio di imbecillità per un intero Paese incapace di resistere al piffero illusorio e truffaldino di Matteo Renzi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07