
Si capisce come chi sia stato a favore del maggioritario per tutta una vita possa essere preoccupato di fronte ad un eventuale ritorno del proporzionale. E, pur di rimanere fedele alla propria immutabile convinzione, si schieri a favore del “Sì” al referendum costituzionale lanciando strali contro il fronte del “No”, accusato di essere formato da una accozzaglia di residuati politici preoccupati solo della propria poltrona.
Ciò che non si capisce, però, è l’ideologizzazione del maggioritario, cioè la trasformazione in ideologia totalizzante della convinzione che il meccanismo del premio di maggioranza al vincitore delle elezioni sia la soluzione migliore al problema della stabilità e della capacità decisionale delle democrazie liberali. Trasformare il maggioritario in una ideologia comporta fatalmente una fatale perdita del senso della realtà. Con il risultato di non riuscire a prendere atto che il meccanismo maggioritario garantisce stabilità ed alternanza quando il sistema politico è bipartitico, ma tende fatalmente ad incepparsi quando lo schema bipartitico diventa tripartitico o pluripartitico.
Negli Stati Uniti il sistema maggioritario e presidenziale funziona al meglio perché la pluralità delle componenti del Partito Democratico e del Partito Repubblicano finiscono sempre con il ricompattarsi in uno dei due grandi contenitori politici. In Gran Bretagna il maggioritario continua a funzionare anche se accusa qualche colpo a causa della ridotta capacità di coesione di conservatori e laburisti. Ma nel resto dell’Europa, dove il bipartitismo è stato sostituito dal tripartitismo (come in Italia) o dal pluripartitismo (come in Spagna o in Grecia), il meccanismo s’inceppa. E porta fatalmente o verso il successo delle forze più estreme o verso quelle larghe intese tra partiti antagonisti ma legati dal comune interesse per la difesa del sistema costituzionale che, per singolare paradosso, è lo stesso sbocco a cui può portare il tanto deprecato proporzionale.
Nel nostro Paese la l’ideologizzazione del maggioritario impedisce di comprendere che il passaggio dal bipartitismo al tripartitismo apre la strada, come dimostrato dalle elezioni comunali di Roma, Torino e Napoli, al trionfo di una forza antisistema come il Movimento 5 Stelle. La riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi per trasformare il suo partito personale nell’asse portante del sistema politico è destinata a provocare inevitabilmente la ripetizione a livello nazionale dell’effetto Raggi o dell’effetto Appendino. Cioè la vittoria dei grillini. A dispetto dei maggioritaristi ideologizzati, quindi, chi vota “Sì” al referendum vota non per Renzi ma per Beppe Grillo. Il ché è bene metterlo in chiaro prima che sia troppo tardi!
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:07