Ma che Italia è questa?

Nei giorni scorsi ha fatto un certo scalpore l’annuncio di Matteo Renzi di voler porre il veto italiano alla revisione del bilancio pluriennale dell’Unione europea. Uno scatto di orgoglio per alcuni, un’ignobile presa in giro per altri. Unanime, tuttavia, la percezione che la prova di forza che il premier italiano dichiara di voler sostenere con le autorità di Bruxelles risponda a esigenze propagandistiche connesse alla campagna elettorale referendaria.

Renzi, consapevole del crescente sentimento anti-europeista che sta attraversando la società italiana, ne cavalca l’onda provando a connettere la difesa attiva degli interessi nazionali in sede europea con il “Sì” alla riforma costituzionale da lui fortemente voluta. Sentirgli però assumere toni populistici suonerebbe ridicolo se non fosse avvilente. Il tutto ruota intorno al principio di credibilità: non ci si può scoprire improvvisamente “anti” dopo essere stati sempre, con i partner europei e specialmente con il governo tedesco di Angela Merkel, supinamente “pro”. A essere precisi più proni che pro. Non che non si possa cambiare idea: ci mancherebbe! Ma c’è un’imprescindibile questione di metodo di cui tenere conto. Un cambio di opinione serio è preceduto da un profondo travaglio intellettuale che scaturisce da una revisione critica dei processi cognitivi e valutativi che hanno prodotto determinate scelte piuttosto che altre. Invece, nel caso di Renzi, di tutta questa tempesta interiore non vi è traccia. Ragionamento e decisione politica nella sintassi renziana non stanno mai nella stessa frase. Il giovanotto è quello dei messaggini su Twitter, non un gigante del pensiero. Piuttosto un surfista che uno scalatore di montagne. Quindi, alla paventata minaccia di mettere pressione agli eurocrati per avere maggiori margini di sforamento del disavanzo nei conti pubblici nessuno ha creduto, ben sapendo che non si tratta di una cosa seria.

Dopo il 4 dicembre tutto tornerà sui binari della normalità: l’Italia sotto e i poteri sovraordinati della Ue sopra. Cionondimeno resta l’amaro in bocca per l’intemerata anti-europea di Renzi. Che questa Unione così com’è non ci stia per niente bene lo sanno anche le pietre. Anche prendere per la collottola qualche zelante funzionario, che tracima dal solco delle proprie competenze avventurandosi in giudizi non richiesti sulle capacità degli italiani di rispettare le regole, potrebbe non dispiacerci. Ma quello che proprio non va giù è l’aver esposto il nostro Paese a una figura barbina con gli altri partner, che non sono certo stinchi di santo, al solo scopo di carpire una mano tesa ai controllori dei nostri conti. Puntando quale obiettivo? Non certo per favorire il popolo italiano ma per foraggiare la macchina criminogena dell’accoglienza degli immigrati clandestini. Il che è totalmente inaccettabile.

Alziamo la voce in Europa, proferiamo minacce, vere o finte che siano poco importa, per che cosa? Per aiutare quelli che tra noi non ce la fanno a sopravvivere, che non hanno più reddito e neppure più un tetto sotto cui ripararsi? Per aiutare i disabili a stare meglio? Per spingere i giovani a mettere su famiglia e a fare figli? Neanche per idea. Battiamo i pugni sul tavolo perché ci si conceda di riempirci di debiti per permetterci il lusso di importare più clandestini. È una vergogna che non si può tollerare. Dicono quelli del Governo: non possiamo lasciarli morire in mezzo al mare. Ma è uno sporco ricatto. Perché non li si ferma sulla costa africana prima che prendano il mare? E non si dica che non si può fare perché sappiamo bene che è una balla. La verità è una e mostruosa: usiamo i flussi migratori per drogare i conti pubblici. Più ne arrivano, maggiore è il business che si alimenta e più denaro da spendere chiediamo all’Europa. E questo sarebbe un presidente del Consiglio di cui andare fieri? Non è più il “Il tempo delle mele”, ma quello dei “peracottari” al potere. Aridatece Sophie Marceau!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:27