L’effetto Trump sul referendum

Non è vero che il peso di Donald Trump e quello di Barack Obama non possano incidere nella campagna referendaria in atto nel nostro Paese. I sondaggisti, quelli che non ne azzeccano mezza, avevano calcolato che il viaggio negli Stati Uniti di Matteo Renzi e dei suoi testimonial italici avrebbe fatto guadagnare almeno un paio di punti al “Sì”, soprattutto dopo che il Presidente Obama si era speso con tanto ardore in favore delle riforme del nostro Presidente del Consiglio. Ora gli stessi sondaggisti, sempre quelli che non ne azzeccano mezza, si apprestano a calcolare che la vittoria del populista magnate americano su Hillary Clinton e sullo stesso Obama può aumentare dei soliti due punti il consenso conquistato fino ad ora dal fronte del “No”.

In realtà gli esperti nei sondaggi possono anche avere ragione nei due punti in più o in meno, ma non colgono minimamente la differenza esistente tra la precedente benedizione del Presidente Usa a Renzi e la spinta della vittoria di Trump sulla casta dei democrats americani ed internazionali. Un differenza decisamente sostanziale visto che la benedizione per Renzi, che già appariva come una sorta di boomerang per il nostro Premier, diventa un peso quasi insopportabile per lo schieramento del “Sì” alla luce della inattesa e travolgente vittoria di un Trump che viene visto dall’opinione pubblica europea ed italiana come il campione emergente di chi si ribella ai privilegi ed ai soprusi delle caste della sinistra internazionale.

Il Trump populista, razzista, sessista e criminalizzato senza alcun ritegno e remora diventa, dopo la vittoria sulla Clinton, il rappresentante non di una generica ondata di antipolitica destinata a sconvolgere i vecchi equilibri del mondo occidentale, ma di una nuova stagione politica destinata a rilanciare il ruolo e la funzione dell’Occidente in nome della sua più profonda e vera identità.

In questa luce, i “No” alla riforma voluta da un Renzi a cui la benedizione di Obama ha imposto il marchio del vecchio diventa il segnale che anche nel nostro Paese è in atto il ritorno alla identità più profonda di un Occidente che non può non dirsi liberale, cristiano e greco-romano. Questo ritorno diventa un preciso progetto politico per il futuro. Che non ha il marchio della semplice protesta populista grillina, ma il segno di una nuova destra tanto moderata quanto rivoluzionaria.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:05