Perché un liberale non può non dire “No”

Nella drammatica guerra (lo è, lo è!) per il Sì e il No alla riforma costituzionale, mi ha destato stupore, come nei liberali attestati sul No, il fatto che altri liberali siano schierati per il Sì.

Lo stupore mi è nato dal fatto che parliamo di Costituzione, dico: la Costituzione, cioè quel documento e quel sistema che si identificano con la libertà dei liberali. Infatti, costituzionalismo e liberalismo sono un’endiadi, se parliamo della vera libertà politica, economica, morale. A cosa serve, secondo un liberale, una Costituzione degna del nome? Serve a dividere, limitare, frenare, controllare il potere, sia delle pubbliche autorità che dei privati cittadini. Se questo è, com’è, lo scopo della Costituzione, essa deve essere giudicata a seconda che lo persegua e raggiunga in tutto o in parte. Idem se si tratta di giudicarne le modificazioni, ampie o meno che siano. Premetto che non sono mai stato un ammiratore acritico della Costituzione che altri, oggi pentiti, considerarono “la più bella del mondo”. Tutt’altro.

In vari scritti minori, ma soprattutto nel pamphlet di un certo successo “Orazione per la Repubblica”, fin dal 1990 condussi una pressoché solitaria, penetrante e impietosa analisi della Costituzione italiana senza le timidezze che la rituale soggezione alla mitologia costituente e resistenziale ha fatto sempre pesare sul dibattito istituzionale. La mia critica, ovviamente ostracizzata dagl’illiberali devoti di quella mitologica ideologia, riguardava (e riguarda, essendo attualissima e coerente con il mio No) i principi fondamentali, che tanto fondamentali e liberali non sono; la seconda parte, fatta di libertà zoppe; l’assetto dei tre poteri, in particolare il complesso Parlamento-Governo pressoché onnipotente. La riforma costituzionale sottoposta al referendum, sebbene modifichi all’incirca un terzo degli articoli, è sbagliata e pericolosa proprio nel suo essenziale carattere antiliberale perché limita la sovranità popolare, concentra il potere parlamentare, riduce il controllo sul governo, accelera la legiferazione. La riforma, dunque, non solo non corregge i difetti fondamentali della Costituzione vigente, da me criticati, ma li perpetua ed aggrava. Di nuovo c’è solo la protervia degl’innovatori, che conservano e perfezionano il peggio dell’assetto costituzionale vigente.

La perversa combinazione degli effetti della legge elettorale e della riforma costituzionale comporterebbe che il presidente del Consiglio, specialmente quando eletto nel ballottaggio da una minoranza elettorale anche infima, di fatto nominerebbe lui la Camera di sua fiducia anziché riceverne l’investitura fiduciaria. Il presidente del Consiglio plasmerebbe la rappresentanza parlamentare e la maggioranza politica. Questa Camera di sua fiducia avrebbe il potere assoluto sulla legislazione generale. La maggioranza governativa, selezionata dal presidente del Consiglio e sottoposta alla sua frusta, avrebbe contro delle minoranze parlamentari fragili e divise, e i suoi poteri sarebbero viepiù penetranti e incontrollabili da un Parlamento ridotto ad una sola Camera asservita al governo che dovrebbe invece controllare. La truffa della riforma costituzionale e della legge elettorale (il No travolge la legge elettorale e perciò vale doppio, mentre il Sì la lascia in vigore!) consiste nella creazione di un unicum istituzionale che ho definito così: “Un governo cripto presidenziale in un sistema pseudo parlamentare”.

Soltanto sedicenti liberali dicono Sì a tutto questo senza contraddirsi. I liberali veri non possono non votare No.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03