L’Italia fa i conti con la povertà

L’Italia vive in una doppia dimensione. C’è quella reale che appartiene alla gente comune e poi c’è quella fantastica, onirica, abitata da Matteo Renzi e dai suoi sodali di governo. Constatare lo sdoppiamento dei due piani nell’immaginario renziano sarebbe questione da gabinetto dello psicanalista se non fosse che poi il conto lo pagherebbero sempre gli italiani. Si persevera, quindi, nell’inganno di narrare un Paese che non esiste. Sarebbe perfino banale scriverlo, ma c’è differenza tra fantasia e realtà.

Ora, raccontare come ha fatto Renzi nel presentare la Legge di stabilità per il 2017 che l’Italia è uscita dalla crisi, che è ripartita e tutto comincia a girare nel verso giusto è spudoratamente falso. La realtà sta da tutt’altra parte. Ieri la Caritas ha pubblicato il Rapporto annuale sulla povertà. I dati, riferiti alle rilevazioni effettuate nel corso del 2015, sono impressionanti non soltanto per quantità ma anche per le caratteristiche di profilo delle nuove povertà. La fonte è da considerare attendibile perché trae le sue analisi dall’esperienza maturata sul campo, in prima linea. Attraverso 1649 Centri di Ascolto dislocati all’interno di 173 diocesi, gli operatori sono in grado di dire con geometrica precisione chi bussa alle loro porte e perché. E allora bisognerebbe leggerli quei dati per comprendere quanto la politica sia lontana dalla realtà e quanto la parola “ottimismo”, evocata dal nostro Premier, sia solo il nome profano della mitologica Chimera, arcigna padrona delle sue stralunate fantasie. Ma il Rapporto è anche il crollo delle molte leggende metropolitane che circolano sull’argomento. Si pensava che fossero gli anziani i più esposti al rischio povertà? Sbagliato. Sono i giovani a soffrire lo stato d’indigenza per la cronica incapacità di trovare lavoro. Si aveva la percezione che fossero gli immigrati i principali fruitori dei servizi offerti dalla Caritas? Percezione vera a metà. Se la media nazionale conferma che gli stranieri costituiscono il 57,2 per cento degli assistiti, nel Sud la proporzione si rovescia: il 66,6 per cento è italiano. In pratica, nel Mezzogiorno d’Italia due persone su tre che bussano alle porte della Caritas sono nostri connazionali. Avevate negli occhi teorie di povere donne, con nugoli di bambini gementi aggrappati a vesti abbrunate dal tempo e dal dolore, intente a trascinarsi in meste “via crucis” tra i banchi alimentari diocesani? Cancellatela. C’è parità di genere anche nella disperazione: 49,9 per cento sono uomini e 50,1 per cento sono donne. La fame non ha sesso, ma ha famiglia: il 47,8 per cento degli assistiti sono coniugati con prole. Pensavate che a chiedere aiuto fosse solo il popolino ignorante? Rivedete le vostre convinzioni: se il 41,4 per cento dei poveri ha la licenza media inferiore, il 16,5 per cento ha il diploma superiore.

Ma cosa chiede alla Caritas questa massa di disperati oltre a un pasto caldo? Aiuto economico, sostegno per la ricerca di un’occupazione e assistenza per fronteggiare la crisi abitativa. Queste le percentuali ma i numeri assoluti, se possibile, fanno ancor più spavento. Nel 2015 l’Istat ha stimato che le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta siano pari a 1 milione e 582mila e gli individui a 4 milioni e 598mila. Si tratta del numero più alto registrato dal 2005 a oggi. Queste non sono chiacchiere ma fatti che inchiodano Renzi al fallimento delle sue mirabolanti ricette di governo. Una classe politica degna di questo nome dovrebbe fare della lotta alla povertà, come diceva qualcuno arringando le folle, “la parola d’ordine, categorica, impegnativa per tutti”. E invece? Ci si preoccupa di andare in Europa col cappello in mano a chiedere che ci permettano di indebitarci ulteriormente solo allo scopo di mettere più soldi sul business dell’accoglienza degli immigrati clandestini. Pazzi irresponsabili, ecco cosa siete signori del governo. E neppure ve ne vergognate.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00