Un ponte verso il nulla

L’editorialista del “Financial Times”, Tony Barber, tempo addietro cauto sostenitore del cambiamento di verso renziano, ha pubblicato un duro commento nei confronti della riforma costituzionale del Governo, definendola “un ponte verso il nulla”. In estrema sintesi, pur nutrendo una certa preoccupazione nei confronti di una vittoria del “No”, Barber ha sottolineato che l’approvazione di una riforma poco efficace sul piano generale “potrebbe rivelare la follia di voler anteporre l’obiettivo tattico della sopravvivenza del Governo alla necessità strategica di una democrazia robusta”. Ma a mio avviso, ritenendo di conoscere i miei polli, il condizionale non serve. Il combinato disposto del pasticcio costituzionale, su cui saranno chiamati ad esprimersi i cittadini italiani, messo in campo dal signorino soddisfatto che occupa Palazzo Chigi è stato fin da subito elaborato con l’idea gattopardesca di far tanto rumore per nulla, al pari della farsesca abolizione delle province, senza però giungere sul serio ad una condizione istituzionale che favorisca al massimo grado la decisione politica. Condizione quest’ultima per adottare le sempre più urgenti misure impopolari di cui necessita un Paese da molto tempo avviato sulla strada del fallimento.

Ovviamente, come mi trovo a ripetere fino alla nausea, modificare in senso robusto la nostra democrazia, così come auspica lo stesso Barber, all’interno di un sistema che negli ultimi quindici anni, a parità di Pil, ha visto crescere in termini reali la spesa pubblica del 20 per cento, non può che significare lotta senza quartiere al voto di scambio, pagando inizialmente un alto prezzo sul piano del consenso. Un prezzo il quale - come dimostra l’intera vicenda governativa del premier pifferaio magico - Matteo Renzi non ha mai neppur lontanamente preso in considerazione. Da qui la messa in campo di un’impressionante sequela di riforme farlocche, spesso dissennate sul piano dei conti pubblici, le quali con il pastrocchio della strana, finta abolizione del Senato sembrano aver raggiunto l’apoteosi. Il problema è, caro Presidente del Consiglio, che in Italia non basta più dimostrare di far qualcosa, tanto per smuovere le acque. Occorrerebbe invece assumersi la responsabilità politica di alcuni cambiamenti di sostanza, come poteva essere l’abolizione totale del Senato della Repubblica, che mal si conciliano con chi è cresciuto nel mare magnum della cosiddetta politica-politicante. A buon intenditor poche parole.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:33