Roma a Cinque Stelle,  sindaco sotto tutela

Ciò che sfugge ai dirigenti del Movimento Cinque Stelle è che a Roma stanno offrendo uno spettacolo non solo di dilettantismo al potere, ma soprattutto di disprezzo del voto popolare, cioè della democrazia. Gli errori compiuti dai dilettanti si possono perdonare. Perché la cultura di governo non si improvvisa e si deve continuare a dare credito (magari non all’infinito) a chi può sbagliare ma dimostra di volere lavorare per il bene della comunità. Ciò che invece non va in alcun caso accettato, invece, è il mancato rispetto delle regole basilari della democrazia.

A Roma il Movimento Cinque Stelle sta dimostrando, in maniera tanto smaccata da apparire addirittura inconsapevole, di non sapere e volere applicare il metodo democratico e di pretendere di sostituirlo con il metodo oligarchico e verticistico tipico delle sette e dei movimenti politici di stampo autoritario.

Virginia Raggi è stata designata a candidata sindaco dal movimento grillino sulla base di questa logica settaria travestita da metodo democratico. Ma, a dispetto delle poche centinaia di militanti che sulla Rete l’avevano preferita ad altri candidati, è stata votata da più del sessanta per cento degli elettori romani. Questa elezione plebiscitaria avrebbe dovuto porla automaticamente al vertice non solo del Campidoglio ma anche del Movimento grillino di Roma. Invece è stata costretta a firmare un contratto che prevede una penale di 150mila euro in caso di rottura con la “casa-madre”, è stata immediatamente affiancata da un mini-direttorio romano composto dai rappresentanti dei gruppi di potere del partito di Roma, è stata sottoposta al controllo del direttorio nazionale formato a sua volta dai dirigenti che più contano nei Palazzi della Camera e del Senato ed oggi si trova a rispondere del proprio operato non ai cittadini da cui è stata eletta, ma a questi capi e capetti nazionali e locali i quali, a loro volta, sono sottoposti all’autorità suprema di persone mai elette come Beppe Grillo e Davide Casaleggio, erede del cofondatore defunto Gianroberto.

Il messaggio che da Roma i pentastellati stanno inviando, in sostanza, è che il sindaco della Capitale non conta nulla. Cioè che la volontà espressa dalla stragrande maggioranza degli elettori romani vale meno di zero di fronte all’autorità superiore di direttori piccoli e grandi e dei guru del Movimento, che non hanno alcuna consapevolezza dei problemi di Roma ma sono solo preoccupati di avere il minor numero dei problemi nella gestione del loro potere assoluto sul Movimento.

Povera Raggi! Ma anche poveri romani!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:05