Anche l’Italia partecipa alla guerra in Libia

Questa volta è ufficiale: siamo impegnati militarmente in Libia. La notizia è giunta al Copasir, il Comitato parlamentare che si occupa dei servizi segreti. La fonte è il Cofs, il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali che, in un documento classificato “segreto”, parla di operazioni in corso in Iraq e in Libia in applicazione della normativa approvata dal Parlamento lo scorso anno. Per ora le unità impiegate non sono numerose. Si tratta di nuclei d’élite della nostra Difesa posti sotto il comando dei Servizi segreti. Eppure, sulla questione il Governo tace e non si capisce perché. Dovrebbe andare fiero di aver azzeccato almeno una volta una decisione, invece sembra quasi che se ne vergogni. Pazzesco! Cos’altro avrebbe dovuto fare? Restare alla finestra a guardare gli “alleati” francesi, americani e inglesi muoversi sul terreno libico per poi spartirsene le spoglie, e le ricchezze, a cose fatte? Non pretendiamo che il signor Matteo Renzi ci faccia la radiocronaca della missione, è giusto che un intervento militare sia coperto dalla massima riservatezza non fosse altro per non offrire al nemico preziose informazioni sui movimenti dei nostri uomini ma, vivaddio, un accenno anche larvato alla decisione di essere della partita sarebbe stato più che opportuno. Sapere che l’Italia mostra anche i muscoli quando occorre e non soltanto si limita a fare la “crocerossina” del Mediterraneo, fa morale.

Qualche pacifista d’accatto mormorerà: “Oddio, la guerra!” Embè? Smettiamola di fare i buonisti a tutti i costi. È un’ipocrisia bella e buona dire che le armi non servono. Ci sono momenti nei quali l’uso della forza è necessario. A dirla tutta è la pace, quando è praticata unilateralmente, ad essere criminale. Non vogliamo dire che avesse ragione del tutto il mitico Filippo Tommaso Marinetti quando definiva la guerra “la sola igiene del mondo”, tuttavia l’eliminazione fisica del nemico è un principio scolpito nel Dna dell’umanità e fingere che non sia così è da mentitori irresponsabili. Bene dunque che si sia deciso di fare la nostra parte in un teatro nel quale è custodita una parte importante del destino della nostra comunità nazionale. Non ci riferiamo solo al petrolio. La Libia è troppo vicina ai nostri confini per non rappresentare per la sicurezza italiana una minaccia imminente se lasciata andare al caos e all’anarchia. Per questa ragione dobbiamo esserci fino alla fine nell’inferno libico anche per evitare che i cari “cugini” francesi, inglesi e da ultimi tedeschi, non facciano della “quarta sponda” italiana un solo boccone come hanno fatto, senza alcun ritegno, già dallo scorso secolo di gran parte del territorio dell’Africa subsahariana. Davvero c’è in Italia ancora qualcuno tanto tonto da credere alla storiella dell’intervento europeo in Libia per il riscatto democratico di quelle genti? Quando Nicolas Sarkozy ha preso a cannonate il satrapo Gheddafi non è ai diritti umani che pensava, quanto invece a scalzare l’italiana Eni dall’egemonia nel controllo dei pozzi petroliferi libici, allo scopo di piazzare la sua compagnia di bandiera. E François Hollande è sulla medesima frequenza del suo predecessore. Il resto è propaganda, trappole per allocchi. In questo bel teatrino, dove nulla è come appare, l’unica cosa che ci preoccupa è la conclamata pavidità del governo italiano.

Oggi registriamo che un piccolo passo nella direzione giusta è stato compiuto. Ma basterà? Quando il clima si farà più pesante e occorrerà mettere in campo ben altre forze, per numero e potenza di fuoco, Roma sarà in grado di stare al gioco o se la darà a gambe preferendo concentrarsi sul business dell’accoglienza degli immigrati clandestini? Francamente, è una risposta che non sappiamo dare. Ma, come si dice, il tempo è galantuomo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:08