Referendum: il nodo   dell’informazione

Forse, senza girarci troppo intorno, bisognerebbe cominciare a dirlo alla toscana, visto che è di moda. Questa storia del referendum sulla riforma costituzionale per parti separate (chi usa il termine “spacchettamento” meriterebbe galera e maledizione) è una bischerata bella e buona; e pazienza se qualche illustre giurista e costituzionalista ha fatto sua questa proposta; e pazienza se qualche dirigente radicale privo di arte, ma voglioso di parte, fa di questa proposta la sua bandiera spacciandolo addirittura per programma politico.

Ora, quando si tratta di partecipare a un seminario, oppure scrivere un articolo per una rivista specializzata, si può certamente indulgere nell’astrattezza e lavorare di fantasia. Però qui non si partecipa a un seminario, non si scrive un articolo con dotte citazioni a piè di pagina. Qui si tratta di innanzitutto rispettare le leggi, che non si possono piegare a proprio piacimento e convenienza. Prendiamo, allora, per stella polare, l’articolo 138 della Costituzione. Recita: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si dà luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

C’è poi, in ulteriore soccorso, la legge n. 352 del 1970; e in particolare l’articolo 4 sulla struttura del quesito: “La richiesta di referendum di cui all'articolo 138 della Costituzione deve contenere l'indicazione della legge di revisione della Costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, e deve altresì citare la data della sua approvazione finale da parte delle Camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata”. Quanto basta per renderci conto che i Costituenti hanno pensato a un referendum integrativo della volontà parlamentare. Noi cittadini siamo chiamati a votare la legge di riforma approvata in Parlamento: o accettarla o respingerla; non accettarne una parte, e respingerne un’altra. Non sarà bello, ma questo è. E non ci si può girare intorno: la riforma Renzi-Boschi, certamente eterogenea, è contenuta in una sola (una sola) legge costituzionale; se ne ricava che il referendum non può che essere unico.

Questo è un “Abc” che qualche giurista può anche divertirsi a scombiccherare; e tutto questo bla-bla-bla può servire per procurar qualche riga di pubblicità sui giornali che hanno pur sempre bisogno di “macinare” qualcosa, anche quando si tratta di un pestar acqua nel mortaio. Ma la lettera e la sostanza delle leggi e della questione è chiara, non si presta a equivoci e a funambolismi. Claudicante anche l’obiezione che in questo modo (dividendo cioè il quesito) si evita una deriva plebiscitaria, Sì o No al Presidente del Consiglio in carica.

Tanto per saperlo: se l’elettore che ha sul naso Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, magari per via della Banca Etruria o per qualche altra ragione, si trova una scheda o cinque, muterà nei suoi umori e tentazioni di rivalsa? Semplicemente barrerà cinque volte No invece che una. E cinque Sì invece che uno, saranno quelli degli aficionados del Presidente del Consiglio e della Madonna di Laterina. Ma anche a voler seguire su questo terreno i sostenitori del sì-no- boh, modello schedina totocalcio, possibile che nessuno si accorga che innanzitutto e soprattutto si tratta di una questione di informazione? Per dire: nella riforma che si propone, si auspica l’abolizione del Cnel, ente considerato inutile. Al di là del merito, alzi la mano chi sa cosa cela la sigla Cnel (sta per Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro); qual è l’articolo costituzionale che lo prevede (è il 99); a cosa serve o dovrebbe servire (Il Cnel è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i princıpi ed entro i limiti stabiliti dalla legge). È solo un esempio, e se ne potrebbero fare altri.

Insomma, mentre ci si gingilla, a puro scopo narcisistico, con le stravaganti proposte di “divisione” della riforma costituzionale, nessuno sembra preoccuparsi di fornire un’informazione di base a chi sarà chiamato a pronunciarsi. E dunque, domani, se in mano ho una scheda sono un suddito plebiscitario; se ne ho cinque sono un cittadino consapevole? Ma per favore…

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:03