
L’idea era unire quel che resta di Scelta Civica con Ala e mettere a capo della nuova aggregazione Enrico Zanetti lasciando Denis Verdini in penombra a fare il regista occulto dell’operazione. A manovra effettuata i verdiniani sarebbero risultati essere formalmente nella coalizione di governo visto che Zanetti è già sottosegretario all’Economia. Ed alla fine dell’estate il nuovo partito zanettian-verdiniano avrebbe potuto incominciare a sostituire nel governo gli alfaniani di Ncd decisi ad abbandonare il ministro dell’Interno per tentare di tornare all’ovile di Forza Italia e del centrodestra.
Come è noto la manovra non è riuscita. Zanetti è stato sconfessato dalla maggioranza dei parlamentari rimasti in Scelta Civica. Ed anche se la fusione del suo troncone di ex montiani con Ala si è comunque realizzato, la nuova formazione politica non sembra essere in grado di sostituire gli alfaniani nel ruolo di alleato principale e determinante del Partito Democratico di Matteo Renzi.
La questione non è di poco conto. Perché mentre la Turchia è sconvolta dal contro- golpe di Erdogan, negli Stati Uniti continua la caccia all’agente di polizia, l’Europa è paralizzata dalla paura di nuove stragi come quella di Nizza, la vera ed unica preoccupazione dei “cespugli” centristi nostrani è quella di farsi la guerra tra di loro per conquistare il ruolo di alleato strategico di Matteo Renzi.
A parole sia gli alfaniani di Ncd, i verdianiani di Ala, i zanettiani del pezzo scissionista di Scelta Civica e gli stessi ex montiani ostili a Zanetti dicono tutti di voler dare vita ad un grande centro unitario capace di dare vita ad un nuovo centrosinistra in alleanza con il Pd. Nei fatti ognuno pensa che il leader naturale di questo nuovo centro sia se stesso. E fa di tutto per segare gli altri pretendenti.
L’operazione di Zanetti e Verdini va vista in questa chiave. Più che essere una manovra per far digerire alla sinistra Pd l’ingresso ufficiale di Denis nel governo è una operazione per segare le gambe ad Angelino Alfano e mandare all’aria il suo disegno di diventare il leader incontrastato del nuovo centro. L’aspetto più bizzarro dell’intera faccenda non è che mentre il mondo brucia ognuno si preoccupa del proprio “particulare”, ma che nessuno dei contendenti si accorge si fare i conti senza l’oste rappresentato dal voto degli elettori. Ognuno vuole i gradi da generale ma di un esercito che esiste solo sulla carta.
Senza lilleri, si dice in Toscana, non si lallera. Come dire che senza voti non si fa politica!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07