La Appendino sindaco di Torino e l’Italicum

Il centrodestra fa dispetti a Piero Fassino e Chiara Appendino diventa sindaco di Torino. Il partito di Matteo Renzi non ride, ma il centrodestra non si rallegra, nonostante il successo riportato in alcuni importanti comuni. Se alle prossime elezioni politiche il centrodestra dovesse andare al ballottaggio contro il Partito Democratico, è certo infatti che il Movimento 5 Stelle non restituirà la cortesia ricevuta. Anzi, è possibile il contrario, cioè che alcuni suoi elettori sosterranno proprio la sinistra, ad essi più affine. Questo è il primo monito che viene dal secondo turno delle elezioni amministrative di domenica scorsa.

È probabile che, contando sulla maggiore affinità tra l’elettorato del M5S e l’elettorato del Pd, Renzi vorrà confermare l’attuale versione dell’Italicum ma, in questo modo, mette a rischio lo stesso esito del referendum costituzionale. Ai ballottaggi di domenica ha partecipato soltanto il 50 per cento degli elettori. I sindaci eletti sono così espressioni di ampie minoranze. Niente da recriminare. Questo è il maggioritario. Ma le elezioni politiche sono un’altra cosa. Come ricorda Stefano Passigli, con tre forze attorno al 30 per cento dei voti e la presumibile partecipazione al voto del 60 per cento degli elettori, al partito vincente andrà il 54 per cento dei seggi della Camera, in rappresentanza del 20 per cento dell’elettorato. Un risultato troppo poco espressivo della rappresentanza politica.

Per questo, i ballottaggi di domenica rendono ancora più evidente l’urgenza di modificare l’Italicum. Il premio di maggioranza al partito vincente presuppone infatti un sistema bipartitico, dove destra e sinistra si dividono su tante questioni, ma si ritrovano sui fondamentali dell’economia, della società, dello Stato. L’Italia invece continua a vivere e convivere dentro le sue eterne e insolute disomogeneità, che si esprimono, oggi, in tre o quattro, distinti, poli contrapposti. L’Italicum è stato pensato per assicurare stabilità alla maggioranza di governo. Ma a che prezzo? I sistemi bipolari tradizionali, pur se espressivi di una minoranza, hanno il pregio di assicurare una maggioranza alla minoranza più grande. Da noi, invece, il sistema tripolare (o quadripolare) creerebbe l’effetto perverso di attribuire la maggioranza assoluta dei seggi a una minoranza molto più piccola della somma delle due (o tre) minoranze perdenti. Inoltre, da noi i partiti e i movimenti antisistema abbondano.

È vero, l’Italicum giova al partito di Renzi. Oltre che a Renzi però giova anche, e molto, al Movimento Cinque Stelle, forte della propria struttura gerarchica e della coesione della propria compagine parlamentare, militarmente garantita. Fuori da qui, c’è il rischio della relegazione all’ininfluenza e alla marginalità, sia per il “centro” politico, sia per le cosiddette forze della destra moderata, sia per le altre componenti radicali o populiste che ambiscono a ruoli di rappresentanza identitaria. Renzi può avere interesse a marginalizzare tutti: sinistra radicale, populisti e demagoghi dell’“onestà”. Ha meno interesse però alla marginalizzazione del centrodestra. L’Italicum infatti non può fare a meno del centrodestra perché, diversamente, creerebbe una situazione di artificiosa emarginazione e di anomala conflittualità sociale.

Per questo, all’Italia (non solo all’Italicum) serve la creazione di un “centro” capace di inglobare e coalizzare tutto l’elettorato “moderato”, considerato che, fuori da qui, c’è il fallimento del bipolarismo, oltre che la decomposizione del polo di centrodestra. L’eventuale iniziativa del Presidente del Consiglio nel mettere mano al sistema elettorale risolverebbe molti problemi, anche a se stesso. Con l’attuale splendido isolamento del Premier, anche l’esito del referendum costituzionale è infatti in discussione. Se Renzi vuole salvare la riforma costituzionale, modifichi l’Italicum, ripristini il premio di maggioranza alla coalizione. Ricrei le condizioni di una rinnovata collegialità, sia a destra come a sinistra, a partire dal suo partito. In caso contrario, se ne dovrebbe dedurre che, più che alla Costituzione, Renzi pensa a se stesso (ancora al Partito della Nazione?), in un risiko non scontato però, di non facile composizione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58