Cattolicesimo politico,   Rotondi e i dubbi

Gianfranco Rotondi s’interroga sulle ragioni dell’eclissi del cattolicesimo politico. Lo fa dalle colonne dell’ Huffington Post. Nel constatare il fallimento, alle amministrative, di tutte le liste d’ispirazione cattolica, Rotondi adombra una sorta di schizofrenia nell’odierno elettorato d’età compresa tra i quaranta e i novanta anni. Una parte consistente di questo bacino un tempo votava per la Democrazia Cristiana, pur senza ammetterlo. Oggi quegli stessi elettori non hanno remore a confessare di rimpiangere quell’esperienza ma non fanno nulla per rivivificarla. Quindi il popolarismo come deposito di un patrimonio alto di valori sarebbe morto e sepolto? No, a giudizio di Rotondi. A sostegno della sua tesi egli cita la Cdu tedesca che è viva e tiene saldamente le redini del governo. Ma l’Italia non è la Germania.

La prospettiva democristiana, a casa nostra, è stata associata all’idea dell’occupazione del centro politico. Il centrismo è stato il tratto identitario del popolarismo italiano. Esso ha rappresentato il punto di equilibrio che ha evitato a un paese di frontiera, negli anni della guerra fredda, pericolosi sbilanciamenti tanto a destra quanto a sinistra, anche a prezzo della paralisi della dinamica democratica. Ciononostante il centrismo democristiano ha assicurato alla società italiana, sia pure tra molte ombre, una lunga stagione di riforme foriere di benessere diffuso e di sufficiente giustizia sociale. Ma il radicamento della Dc come forza interclassista è stato favorito dalla vigenza di un sistema proporzionale della rappresentanza partitica.

L’avvento del bipolarismo, presupposto della democrazia dell’alternanza, ne ha sancito la crisi definitiva imponendo all’elettorato e ai partiti di scegliere da che parte stare. La discesa in campo di Berlusconi, nel 1994, ha rafforzato questo paradigma. La divaricazione dei campi è stata resa plasticamente più evidente dalle caratteristiche umane e carismatiche del personaggio Berlusconi. Si è perfino ecceduti portando il confronto sul piano antropologico con l’inconciliabilità tra due tipi umani: l’homo berlusconianus e l’homo anti-berlusconianus.

Queste due nuove categorie dell’ontos hanno funzionato da contenitore delle contraddizioni presenti nella società italiana. Dalla mistica resistenziale, al giustizialismo, al garantismo, al liberismo economico di mercato. Tutto ha trovato una sua meccanica sistemazione da una parte o dall’altra del campo. In questa separazione anche l’identità cattolica è stata sezionata e ridistribuita: il popolarismo massimalista d’ispirazione dossettiana si è incamminato a sinistra, il conservatorismo del cattolicesimo tradizionalista ha incrociato la destra. La forza generata dai processi di mediazione endogeni al corpaccione cattolico, che era la cifra dell’identità democristiana, non ha trovato eredi. La sinistra non si è lasciata egemonizzare dal popolarismo, come neppure la destra. Rotondi ha ragione nel dire che “Il popolarismo non è la destra” ma ha torto nel sostenere che esso “la occupa e la ingloba”. Il punto di caduta, che ha mandato in crisi il progetto di ricreare in Italia lo spazio per un universo popolarista coeso e in linea con l’esperienza di altri paesi europei, sta nella qualità del popolarismo europeo che reca lo stigma del luteranesimo protestante dei paesi del nord, non quello del cattolicesimo apostolico romano.

Oggi, a mettere una pietra tombale sulla ricomposizione dell’unità dei cattolici in politica è lo scivolamento della posizione della Chiesa di Francesco verso uno spigoloso pacifismo pauperista, estraneo alla cultura profonda dell’Occidente. L’equazione proposta da Rotondi ne risulta rovesciata. La connotazione religiosa, sebbene sopravviva nella dimensione qualificativa dell’identità comunitaria, non può essere più, in tempi di democrazia bipolare non incrinata dalla comparsa del fenomeno Cinque Stelle, la scriminante di sistema.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:02