
Lo diciamo subito: la parata del 2 giugno non ci è piaciuta. Ogni anno che passa ci piace sempre meno. Da quando la sinistra è al governo l’appuntamento con le Forze Armate è divenuto un impaccio. Alla stregua di qualcosa di cui non si può fare a meno, ma che non va enfatizzato. Come una medicina dal sapore cattivo: per renderla deglutibile la si corregge con lo zucchero e il miele. Stavolta ci si è inventati la sfilata dei sindaci. Una cosa patetica: sembrava una scenografia copiata da “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo. Peccato che i corpi e i volti partoriti dal pennello del pittore piemontese avessero una forza e una gagliardia che francamente abbiamo fatto fatica a ritrovare nella “carica dei quattrocento” di ieri l’altro. Bolsi, tracagnotti, disordinati, specchio di una politica sciatta, i primi cittadini non c’azzeccavano niente con la fiera compostezza dei militari che li seguivano. La fantasiosa trovata degli organizzatori si è trasformata in una miscela di “Italie” dagli effetti esilaranti. E poi bambini, striscioni e palloncini colorati come a una recita scolastica. Un po’ di sobrietà, no?
Proprio non ce la fanno Matteo Renzi e i suoi a riconoscere che la difesa armata della patria sia un compito tra i più alti e più onorevoli che un cittadino possa avere la possibilità di svolgere. Quegli uomini e quelle donne in divisa avrebbero meritato ben diversa attenzione di quella che gli è stata offerta da una tribuna delle autorità alquanto distratta. Con poche commoventi eccezioni: un invecchiato Antonio Martino, eccellente ministro della Difesa del secondo governo Berlusconi, il prodiano Arturo Parisi, anch’egli ex ministro ed ex-allevo della Nunziatella, e un roccioso Franco Marini, presidente della Repubblica mancato, abruzzese e alpino per sempre. Per il resto, un pianto.
A un certo punto la schiera delle autorità si è messa a battere le mani come se stesse a una festa di paese a cantare “dove sta Zazà”. E questa sarebbe la Festa della Repubblica? Al posto dei lagunari e degli uomini del Genio, le carriole dall’Ama, la municipalizzata dei rifiuti di Roma. Truppe corazzate e sommergibilisti lasciati a casa. Grande enfasi su ciò che la nostra Marina fa per soccorrere i migranti in mare, ma niente che potesse dare il senso di un protagonismo militare nei più sensibili teatri internazionali. Il ruolo delle nostre armi in scenari complessi come l’Afghanistan, i Balcani e il Libano c’è stato e c’è tuttora, perché non celebrarlo debitamente? Meglio invece per i “compagni” rendere chiara la scelta ideologica che sta alla base del forte ridimensionamento del nostro esercito. D’altro canto, la religione del pacifismo mai sconfessato da questa sinistra pretende i suoi atti sacrificali e le armi, com’è noto, mal s’intonano con le bandiere arcobaleno che costoro nascondono sotto i doppiopetti e i tailleur d’ordinanza.
E poi la porcata più grossa: aver impedito a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due nostri marò appena strappati dalle grinfie della “giustizia” indiana, di esserci. Lo chiamano “low profile”, ma la verità è che questo governo si vergogna di loro, li trova scomodi, impresentabili, se è vero che si preoccupa di non indispettire gli amici di New Delhi piuttosto che rendere il dovuto omaggio a due servitori dello Stato. Ma se Atene piange, Sparta non ride. A fronte dello spettacolino messo su in salsa renziana ha pesato la vistosa assenza dei leader del centrodestra. A cominciare da Matteo Salvini. Lui che si candida ad essere l’alternativa a Renzi, doveva esserci. La sua presenza avrebbe colmato il gap procurato dalla strafottenza mostrata dai signori del governo e soci. Sappia Salvini che chiunque abbia l’ambizione di essere capo ha l’obbligo di porsi alla testa di coloro che vorrebbe guidare. Non marca visita. Detto questo, buona Festa della Repubblica.
Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 19:44