Il Corriere della Sera e il “No” al referendum

Il “Corrierone” ha schierato le cannoniere contro i difensori del “No” al referendum costituzionale. Sabino Cassese, Angelo Panebianco, Antonio Polito, anche facendo leva sull’intervista di Giorgio Napolitano, sparano ad alzo zero con argomenti che fanno rumore perché provenienti da quelle bocche di fuoco ma non sono né pericolosi né devastanti. Hanno diviso i fautori del No, una coalizione a loro dire eterogenea (ma perché eterogenea se sono d’accordo sull’essenziale?) in tre gruppi: il primo sarebbe formato dalle vestali dell’intangibilità della Costituzione; il secondo da quelli che se ne fregano della Costituzione e vogliono solo sbarazzarsi di Renzi; il terzo dai “perfezionisti”, così li chiama Panebianco, “favorevoli in linea di principio a riformare la Costituzione ma la cui contrarietà dipende dall’esistenza di sbavature e difetti vari del testo approvato dal Parlamento”.

Ai primi due gruppi apparterrebbero gli irriducibili con i quali sarebbe inutile ragionare, perché iperconvinti delle loro posizioni. Con il terzo gruppo, dice Panebianco, si può essere benigni e ragionare. Bontà loro. Quando prescindiamo dall’autorevolezza degli artiglieri, ci accorgiamo subito che i loro cannoni sparano petardi. Innanzitutto, non uno di loro riesce a dichiararsi convinto e soddisfatto della riforma costituzionale. Anzi, tutti ne scorgono e ne sottolineano i difetti, le lacune, le incongruenze e, persino, come sottolineano i favorevoli e i contrari, la pessima scrittura. Ciò nonostante, invece di concludere che è meglio ripensarci, incoerentemente si spingono a ricavarne le pseudo ragioni del “Sì”. Questi, a stringere, i loro argomenti: il meglio è nemico del bene; adesso o mai più; i compromessi sono inevitabili; il nuovo Senato non è male e, il più falso di tutti, la riforma non contiene pericoli di autoritarismo.

Orbene, “si parva licet componere magnis”, esistono milioni di italiani come me che non solo non sono mai stato tra i paladini della Costituzione “più bella del mondo”, “nata dalla Resistenza”, eccetera eccetera, “laudatores” ai quali hanno tronfiamente appartenuto molti dei riformatori altrettanto tronfi d’oggi, ma neppure sostengo il “NO” per timore che la riforma trasformi Renzi in Mussolini redivivo. Questo della “democrazia autoritaria”, che a sentir costoro deriverebbe dalla soppressione del Senato attuale (sic!), è un fantoccio polemico bell’e buono, che fa loro comodo per vincere fintamente un’obiezione inesistente. La soppressione del bicameralismo perfetto, per quanto mi riguarda, non minaccia la democrazia. Il “senaticchio” inventato (unico al mondo) la squalifica. Se era per risparmiare e semplificare, come mentendo fu detto dai proponenti al cospetto del Parlamento, il Senato doveva essere soppresso o dimezzato insieme alla Camera.

Ciò che è inaccettabile, e stupisce che persone tanto autorevoli e in buona fede ignorino o sottovalutino, è il fatto che la combinazione della legge elettorale con il sostanziale monocameralismo alteri profondamente la sovranità popolare, creando artatamente la maggioranza parlamentare per mezzo di un premio concesso ad un’esigua minoranza indeterminata di elettori, un asso pigliatutto, e relegando l’opposizione in un angolino della Camera a fungere da ornamento e poco più. Com’è possibile che persone così autorevoli trascurino che la riforma costituzionale è arrangiata sulla legge elettorale anziché viceversa? Se il meglio è nemico del bene, lo è a maggior ragione il male. Quanto a Renzi, è stato lui stesso a legare il suo destino politico all’esito del referendum, non certo i sostenitori del “No”. Che se ne vada o resti, sono affari suoi. Mentre sono affari nostri le sue riforme, che rimangono sbagliate a prescindere. Anche l’argomento Renzi, dunque, con tutto il rispetto degli autorevoli commentatori, vale quel che vale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59