
Chi è di cultura liberale non può nutrire alcuna opposizione alle unioni civili ed ai matrimoni tra omosessuali. I rapporti, le preferenze e le inclinazioni sessuali sono questioni private che quando divengono fenomeni sociali vanno necessariamente normati dalle leggi dello Stato.
Ma chi è di cultura liberale non può neppure concepire che un diritto civile (tale diventa una questione strettamente privata quando si pubblicizza) venga applicata ricorrendo alla minaccia ed alla coercizione. Le leggi dello Stato si discutono ma si applicano. Quando affrontano problemi che toccano la coscienza delle persone, però, c’è il rischio che la sanzione prevista dalla legge per la sua inosservanza trasformi il diritto civile che si vuole tutelare in una sorta di coercizione di Stato.
Il caso sollevato dalla dichiarazione di Alfio Marchini, successivamente corretta, sulla sua intenzione di non celebrare i matrimoni gay in caso di elezione a sindaco, è emblematico. Perché la relatrice della legge su cui il Governo ha posto la fiducia trasformando il riconoscimento di un diritto civile in una tappa vittoriosa del percorso politico di Matteo Renzi, cioè la senatrice Monica Cirinnà, ha subito ricordato che se un sindaco si rifiuterà di celebrare un’unione civile tra una coppia omosessuale verrà sostituito da un commissario e sottoposto ad un giudizio penale per omissione di atti d’ufficio.
Nel redigere la legge, qualcuno si è posto l’interrogativo di quale conseguenza possa comportare questo obbligo di celebrazione di matrimonio gay sotto la minaccia di commissariamento e di sanzione penale? Pur avendo alle spalle il consenso della maggioranza dei propri concittadini, qualsiasi sindaco avrà sulla propria testa la spada di Damocle dell’obbligo assoluto della celebrazione. Guai a sottrarsi per qualsiasi ragione (quella dell’obiezione di coscienza è assolutamente negata) dal compito di espletare il rito civile. Qualunque accidente lo dovesse spingere a non farlo, magari delegando qualcuno a compiere la cerimonia in sua vece, lo esporrebbe al rischio di destituzione e di sanzione penale. Quante coppie pretenderanno, sulla base di queste norme, di avere la massima autorità cittadina a partecipare alla loro festa di nozze?
Ma può il riconoscimento di un diritto civile diventare un atto di prevaricazione sancito dallo Stato? Non sarebbe stato meglio, allora, per la salvaguardia dei diritti individuali di tutti cittadini, di tenere fuori lo Stato dalle sfere personali degli individui?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07