
Ma siamo proprio certi che, nel dare all’Italia il comando del corpo di spedizione dell’Onu incaricato di proteggere i pozzi petroliferi della Cirenaica e della Tripolitania in nome e per conto del governo Serraj, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti ci facciano un favore?
Matteo Renzi da sempre sostiene che il nostro Paese debba avere in Libia un ruolo di comando, lasciando intendere che non si tratta di una questione di prestigio ma di convenienza. Guidare il contingente Onu significa avere la possibilità di stabilire e consolidare rapporti ed evitare che dopo aver fatto il “lavoro sporco” dell’impiego massiccio militare i governi dei Paesi cosiddetti alleati si prendano tutti i vantaggi dell’operazione.
Ma se non si va in Libia per prestigio ma per convenienza è necessario che l’impiego dei soldati italiani nella quarta sponda non sia finalizzato solo alla difesa dei pozzi petroliferi, ma rivolto anche a predisporre le condizioni per impedire che quei cinquecentomila disperati pronti ad imbarcarsi alla volta della Sicilia vengano convinti a rimanere dove si trovano. Non con la violenza o la coercizione, ma con l’impegno a realizzare nel Paese in cui si trovano le condizioni di vita che i profughi spererebbero di avere in Italia.
Insomma, se proprio è necessario che gli italiani ritornino in armi in Libia compiendo un’operazione di fatto neocoloniale, è indispensabile che questa operazione venga compiuta tenendo conto che uno dei tratti distintivi del colonialismo italiano non fu solo quello della repressione, ma anche quello della costruzione di opere ed infrastrutture rivolte a beneficio dei colonizzatori e delle popolazioni locali.
Se la prassi politicamente corretta impone di non definire coloniale un’impresa che solo questa definizione può avere, si cerchi almeno di dare alla spedizione di cui si assumerà il comando il tratto migliore dell’ormai antica esperienza del colonialismo italiano. Per dare questo tratto c’è bisogno che accanto ai piani militari ci sia un progetto civile di aiuti e di sviluppo che assicuri assistenza, sicurezza, lavoro ed istruzione sia alle popolazioni libiche, sia alle centinaia di migliaia di persone giunte in Libia per fare il grande salto verso l’Europa . La speranza è che il piano civile sia operativo insieme a quello militare. Altrimenti sarà solo neocolonialismo nella versione più odiosa. E saranno guai!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:07