
Matteo Renzi non smette di stupire. In negativo, anche quando dice cose di destra. Ieri l’altro in Senato, per rispondere alla mozione di sfiducia delle opposizioni, ha tirato fuori argomenti pescati dal patrimonio ideale del centrodestra. Probabilmente, voleva mostrarsi agli occhi dell’opinione pubblica diverso da quello che è nella realtà. Ma è stato un volgare imbroglio. Renzi garantista? Una bufala.
Con la disinvoltura che gli è congeniale, ha tuonato dai banchi del governo contro la barbarie del giustizialismo a senso unico e contro i magistrati che passano i testi delle intercettazioni ai giornali. Domanda: lui dov’è stato negli ultimi vent’anni? La sua area politica ha fatto strame dello stato di diritto, si è servita spudoratamente della “via giudiziaria” per cercare di abbattere l’avversario politico, ha praticato il più osceno voyeurismo per spiare dal buco della serratura i fatti privati del capo dell’opposizione e ora lui viene bellamente a dirci che sputtanare il prossimo a mezzo stampa è un atto di barbarie. Perché non lo ha ammesso prima? Sarebbe stato più credibile. Dirlo adesso non ha senso a meno che dietro la retromarcia fasulla non si nasconda l’ennesima operazione di piccolo cabotaggio politico.
Renzi sa che c’è un mondo liberale un tempo tenuto insieme dal carisma di Silvio Berlusconi che oggi rischia di andare in frantumi. Sa pure che quel mondo è molto sensibile alle tematiche della libertà dei cittadini, della “giustizia giusta” e alla difesa del sacro diritto alla riservatezza sulla vita privata delle persone. Allora, per tentare la scalata a quell’area del consenso, decide di cambiare pelle reinventandosi garantista. Ma gli italiani di destra sono meno creduloni di quanto lui possa pensare. Non ci cascano perché sanno che si tratta della messinscena del camaleonte. Non c’è nulla di genuino in quel garantismo di facciata mostrato al Senato ieri l’altro. Se così non fosse il signor Renzi metterebbe mano alle norme sulle intercettazioni che ancora gridano vendetta per il loro essere indegne di uno stato di diritto.
Vuole davvero convincere gli italiani che lui non è giustizialista come i suoi predecessori? Che ne denunci gli squallidi comportamenti del passato, se ne ha il coraggio. Dica senza mezzi termini che i suoi sodali di partito si sono comportati, su questo terreno, da autentiche iene. Ai tempi dei governi di centrodestra erano tutti appollaiati sugli scanni di prima fila, come tricoteuses sotto la ghigliottina, a godersi lo spettacolo dello demolizione del diritto a colpi d’inchieste giudiziarie programmate a orologeria.
Oggi Renzi ha la faccia tosta di dire che tante vite di persone perbene sono state distrutte per un avviso di garanzia. Lo vada a spiegare ai parenti delle vittime della rivoluzione giudiziaria di “Mani pulite”. Lo vada a dire ai figli di Gabriele Cagliari, presidente dell’Eni arrestato con l’accusa di aver versato una maxi tangente ai partiti. Il 20 luglio del 1993, dopo quattro mesi di ingiusta detenzione nel carcere di San Vittore, Cagliari si tolse la vita. Prima di stringersi un sacchetto di plastica al collo scrisse una lettera indirizzata ai suoi familiari. “La criminalizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell’opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei giudici ha fatto il resto. Ci trattano veramente come non-persone, come cani ricacciati ogni volta al canile. Sono qui da oltre quattro mesi, illegittimamente trattenuto”. Così Gabriele Cagliari vergava il suo testamento mentre i compagni della gioiosa macchina da guerra dell’ex Partito Comunista Italiano banchettavano pregustando una vittoria favorita da un colpo di mano. Il suo garantismo fresco di giornata lo vada a sbattere in faccia a tutti i complici dell’ordalia giustizialista. Ma non osi prendersi gioco degli italiani.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00