Dopo Casaleggio: il web non basta

Emozione dovuta, per la scomparsa di Gianroberto Casaleggio. Commozione dovuta. Preoccupazioni, interrogativi, dovuti. Ma, al di là di questi momenti di partecipazione - umana oltreché politica - respingiamo quanto siamo andati leggendo in questi giorni sui media: un profluvio di parole enfatico ma sopratutto non proprio azzeccato, anzi deviante.

Di Casaleggio abbiamo letto che, da “visionario”, avrebbe rivoluzionato la politica introducendo tra i suoi strumenti e i suoi parafernalia le tecniche del web: di quella forma modernissima di comunicazione che sta, in verità, sconvolgendo comportamenti globali, con effetti anche sul sistema politico in quanto tale. Indubbiamente, l’uso del web (con annessi e connessi di cui personalmente siamo piuttosto inesperti) ha portato conseguenze su cui Casaleggio ha lavorato molto e con passione, sfruttandone le possibilità fino al limite - credo si possa dire - dell’attualmente concepibile. Ma tutto questo non è una sua invenzione.

Da anni la rete web è un intermediario necessario alla nascita e crescita di fenomeni politici di tutto rispetto, a livello anche internazionale. Sul web e su ciò che significa si discute e si discuterà ancora, e a lungo. C’è chi lo ammette e favorisce in nome della libertà di espressione; e chi, per le stesse ragioni, lo teme, lo vieta, tenta di soffocarlo. Dunque, un fenomeno ricco di potenzialità. Ma Casaleggio ne ha abbondantememnte sfruttato anche il lato negativo. Accanto all’impiego - di ispirazione “democratica” - quale unica via di comunicazione (interattiva e dunque veridica, non mistificante) con i membri del Movimento, Casaleggio ha imposto divieti, occlusioni, interventi personali e verticisti che hanno molto appannato la chiarezza e la credibilità del meccanismo. Oggi è più facile diffidarne che consentirvi: nonostante le apparenze, l’uso del web - almeno come lo ha configurato Casaleggio - ci ha più allontanato dalla democrazia che avvicinarvici. E, anzi, l’intero Movimento Cinque Stelle è, nelle sue articolazioni, un coacervo di strutture e prassi che non ne fanno un modello credibile di esperienza e sviluppo democratico. Per dirla con la massima chiarezza: il web di Casaleggio, con tutto il M5S, è una deformazione, caricaturale quando non deleteria, dei meccanismi e degli obiettivi della democrazia così come essa si è venuta classicamente elaborando nel corso di secoli. Partecipa anche esso - anzi - a quella deriva, a quella crisi delle democrazie che affligge il mondo, non solo nei Paesi che alla democrazia non si sono ancora avvicinati o assuefatti, ma anche in quelli nei quali una lunghissima esperienza, nutrita di solida cultura e riflessione etica e civile, sembrava aver collaudato più che a sufficienza i meccanismi profondi, le strutture portanti di una buona prassi democratica (e liberale).

Non si può pensare di fondare una società e le sue istituzioni avendo come obiettivo quello della lotta alla Casta, il perseguimento dell’onestà. L’onestà è un prerequisito cui deve presiedere una magistratura corretta ed efficace; il problema della Casta non è nelle sue incrostazioni e involuzioni – quando si presentino – ma nelle cause istituzionali che determinano i fenomeni degenerativi. La “classe politica” degenera in casta quando si spezza il rapporto di fiducia con l’opinione pubblica. Fu, se non sbaglio, Gaetano Mosca, e subito dopo di lui Vilfredo Pareto, a darci le prime importanti definizioni di cosa significhi una élite e di quali siano i rischi che la sua cristallizzazione comporta: problemi che hanno visto anche le più recenti ricerche di C. Wright Mills affondare nel cuore della società americana, con la scoperta della sua imprevedibile fragilità.

È vero che oggi, anche nei Paesi di collaudata e persuasiva stabilità, la democrazia (con le sue attuali élites) non è in buona salute. Di certo, uno dei motivi di questo scollamento è nella crisi dello Stato-Nazione. Lo Stato-Nazione è non solo una formula istituzionale, ma un complesso “sistema” che ha tutta una serie di “strutture” ideali, formali e sostanziali che da secoli lo sorreggono. Oggi queste strutture non hanno letteralmente più senso, a partire dal privilegio “schmittiano” di poter fare guerra, la cosiddetta “eccezione”. Oggi le guerre non si dichiarano, non hanno più l’andamento storicamente ben noto, sono “conflitti” tra poteri e potenze disuguali, fluide, informali, evanescenti quanto insidiose. Gli attentati dell’Isis sono atti anomali, contro i quali non c’è possibilità di risposta comparabile. Non si risponde all’atto terroristico con l’atto terroristico, se non altro perché non si saprebbe contro chi e dove promuoverlo. L’Isis è inafferrabile, il Califfo parla di un suo successo, di una sua evoluzione in grande Stato afro-asiatico per il 2022, data troppo lontana per essere affidabile.

Intanto, una guerra “classica” tra - per dire - Francia e Gemania - non è più concepibile. Una possibilità resta, di guerra “totale” di supremazia mondiale, tipo “Guerra Fredda”. Ma questo è appunto il problema, il tema della ricerca “politica” di un nuovo sistema di governance mondiale, che superi gli schemi dello Stato-Nazione come i rischi di un conflitto “globale”, e fondi la democrazia, con le sue imprevedibili regole, per quel mondo di domani.

Dunque, il grande problema dell’oggi è di “superare” la visione di una inutile “lotta alla casta” e di affrontare quello, ben più difficile, di edificare istituzioni valide per l’uomo 2.0, istituzioni che prevedano anche una convivenza non conflittuale con il web e la sua ricerca di “verità”, una esigenza del tutto nuova nel panorama dei comportamenti, delle “necessità”, dei “diritti” dell’uomo. Il guaio è che all’immensa bisogna mancano ancora una consapevolezza diffusa, la conoscenza o l’invenzione di strumenti opportuni, “classi dirigenti”, “élites” adeguate. Ma non possiamo adattarci ai messaggi della “caccia alla casta”, o al grido “onestà” che si è sentito durante la cerimonia funebre di Casaleggio.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59