Lo scandalo Guidi e l’autogol del Premier

Matteo Renzi è andato al tappeto con la vicenda delle frasi rubate, attraverso le intercettazioni telefoniche, al ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Certo non è stata una bella cosa sapere di una ministra che ha brigato per favorire gli amici del suo compagno di vita. Leggendo le carte si scopre che la politica è sì interesse, ma personale. Non collettivo. Tuttavia, lo scandalo tira ancora una volta in ballo il sistema delle intercettazioni utilizzato come strumento di lotta politica. Nulla cambia in questo Paese malato cronico di giustizialismo mediatico. La sinistra che tanto lo ha amato, ora lo subisce. Perché proprio adesso - si domanda qualche renziano - vengono fuori le telefonate incriminanti? Non è che c’entri qualcosa il referendum anti-trivelle? Renzi vorrebbe raccontarla così questa storia ma per timore di somigliare troppo a Silvio Berlusconi non se la sente di imboccare il sentiero stretto del garantismo. Anche perché la Guidi, non essendo renziana di stretta osservanza, è sacrificabile.

A nessuno è sfuggito che il capo del Governo non abbia nemmeno tentato di difenderla. Anzi, ne ha preteso e ottenuto le dimissioni a stretto giro. Il “Divide et impera” di Renzi si fonda sull’esistenza di due categorie di collaboratori: i sacrificabili e gli intoccabili. Il nesso causale che li lega è nella regola aurea per la quale il sacrificio dei primi è funzione della maggior gloria dei secondi. Non è un caso se abbiamo assistito, nella vicenda di Banca Etruria, alla difesa a oltranza dell’indifendibile Maria Elena Boschi, mentre per la “cara Federica” un solo malevolo apprezzamento: “ha fatto bene a dimettersi”. Renzi ora deve fare i conti con il rischio derivante da un’improvvisa politicizzazione dell’imminente referendum anti-trivelle che invece, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto viaggiare sul binario morto dell’astensionismo.

La falla si è aperta e il premier prova a chiuderla con il minor danno possibile. Ma i conti si fanno con l’oste, che in questo caso sono le opposizioni interne ed esterne al Partito Democratico. La minoranza interna gongola, i 5 Stelle esultano. Ma ciò che potrebbe far molto male a Renzi non è soltanto la cattiva stampa sulla questione Guidi. Il maggiore fattore problematico prodotto da questo scandalo si focalizza sulla scelta del successore che sostituirà la ministra dimissionata. A chi Renzi consegnerà le chiavi di un ministero strategico per il suo progetto di Governo? A un altro suo fedelissimo, magari a quel tale Ivan Scalfarotto, cortigiano in costante ascesa nelle grazie di madonna Maria Elena Boschi? Coglierà, piuttosto, l’occasione per tentare un do-ut-des con il trio Bersani-Speranza-Cuperlo in cambio di un sostegno alla riforma costituzionale? O sarà la volta buona per gratificare l’amico Denis Verdini, scegliendo una figura di “tecnico” gradita all’ex braccio destro di Berlusconi? Oppure userà la casella libera per lanciare un’Opa sull’area di centro, oggi appannaggio della premiata ditta Casini & Alfano? Comunque si muova, Renzi rischia di mettere un piede in fallo procurandosi nuovi nemici. Il che non è nello stile inclusivo di un neo- democristiano camuffato da progressista quale egli è, di là dalle false posture da decisionista con le quali si mostra in pubblico.

Intanto, il Financial Time spreca elogi per il giovane pentastellato Luigi Di Maio, mentre la stampa estera si scopre tifosa della candidata romana dei 5 Stelle, Virginia Raggi. In politica nulla accade a caso. Se gli indicatori degli umori della grande finanza internazionale rilevano segnali di disimpegno verso l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, vuol dire che la sorte politica di questo Governo è segnata. Prepariamoci allora a vivere una lunga estate di tensioni e di colpi di scena. L’agonia si protrarrà fino a quando gli italiani, nelle urne del referendum costituzionale di ottobre, non compiranno il gesto pietoso di staccargli la spina.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:02