
Sappiamo chi ha perso a Palmira. E la notizia che a perdere sia stato l’Isis ha rassicurato quell’opinione pubblica occidentale preoccupata per l’espansionismo del califfato islamico. Ma se ci chiediamo chi e come abbia vinto a Palmira abbiamo solo una risposta a mezza a bocca: ha vinto l’esercito di Bashar al-Assad con l’appoggio dell’aviazione russa.
Il perché questa risposta sia pronunciata con poca enfasi è presto detto. Ai tempi della primavera araba, nei teoremi delle Cancellerie europee e della Casa Bianca il dittatore Assad avrebbe dovuto fare la fine del dittatore Gheddafi. Gli Stati Uniti, così come avevano fatto in Libia, avrebbero dovuto affiancarsi a Francia e Gran Bretagna per sostenere i diversi gruppi dei ribelli, armati dagli emirati sunniti del Golfo Persico e dall’Arabia Saudita. E provocare la fine del regime e la fuga o l’uccisione di un feroce e minore alleato mediorientale dell’Iran komeinista e della Russia di Vladimir Putin.
Solo all’ultimo momento il Presidente Barack Obama, che pure aveva minacciato l’uso delle armi in caso di utilizzo di armi chimiche da parte di Assad (puntualmente avvenuto), rinunciò a lanciare i missili contro Damasco preferendo defilarsi, in maniera al momento del tutto incomprensibile, dalla partita.
La ragione di quel disimpegno si comprende proprio adesso. Obama non poteva “finire” Assad perché impegnato a chiudere la trattativa con Teheran che, a sua volta, non poteva abbandonare l’alleato siriano su cui puntava per frenare la pressione sunnita di Arabia Saudita e degli Emirati. La conseguenza è stata che in cambio della storica normalizzazione con l’Iran sciita, Obama ha dato via libera in Siria al regime komeinista ed alla Russia di Putin ed ha consentito ad Assad di evitare la sorte di Gheddafi.
È difficile valutare se e quanto il rafforzamento del dittatore siriano ottenuto grazie alle truppe di terra iraniane e degli hezbollah ed all’impiego massiccio dell’aviazione russa possa alterare il già precario equilibrio mediorientale. Non va dimenticato, a questo proposito, che più si allarga il predominio iraniano in Medio Oriente, più si alza l’allarme di Israele per la sua sopravvivenza. Ma un dato è comunque certo. L’Isis può essere battuto se la fazione che lo combatte sul terreno è alimentata da una potenza esterna e, soprattutto, può contare sull’intervento massiccio di una aviazione che non ha il problema di usare le bombe “intelligenti” ma può tranquillamente applicare, come ha fatto quella russa, la tattica della distruzione indiscriminata.
La lezione militare che viene da Palmira è solo questa. Chi la volesse applicare per combattere l’Isis in Libia non deve far altro che armare e sostenere la fazione più consistente di quelle averse al califfato e garantirle il sostegno aereo continuativo ed efficace di un Paese tecnologicamente avanzato. La speranza è che Obama, la Merkel, Hollande e Cameron lo abbiano capito. Altrimenti prepariamoci a ritrovarci con gli iraniani ed i russi a Tripoli!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:04