
Il 19 marzo è stato pubblicato un articolo di Piero Ostellino dal titolo “L’ossessione per la giustizia finisce per uccidere la libertà”.
Vorrei replicare, da avvocato e da liberale, spiegando cosa io pensi di questo delicatissimo argomento, che ripropone l’apparente ed irriducibile conflitto tra due valori ai quali noi, in ragione del nostro orientamento politico, annettiamo importanza essenziale. Devo fare una precisazione. Piero Ostellino, nel suo articolo, parla di inevitabile frizione tra libertà e giustizia sociale; tra concorrenza ed equanimità; tra accettazione delle diversità e diritti. Da buon liberale, evoca Croce e Popper, i quali, seppure con differenti sfumature, privilegiavano la libertà alla giustizia sociale e finivano col ritenere fisiologica una certa dose di ingiustizia, destinata a tradursi in fattore di spinta e, quindi, di crescita sociale. Karl Popper è, da sempre, uno dei miei punti di riferimento: non ho difficoltà a condividere le sue idee.
Da avvocato - mi piacerebbe dire: da giurista - mi spingo oltre e dico che non c’è giustizia senza libertà. Anzi: dico che solo la libertà garantisce Giustizia. Provo a dare dimostrazione del mio assunto. Dato per ammesso che noi non siamo onniscienti e che, per accertare la verità, siamo costretti a fare ricorso a complesse procedure di accertamento, dobbiamo chiederci se siamo disposti a tutto per raggiungere l’agognata verità, sulla base della quale riaffermare la Giustizia violata. Mi spiego meglio. Una persona è accusata di furto. Per stabilire se l’accusato è o no colpevole, abbiamo a disposizione molte opzioni: possiamo torturarlo fino alle estreme conseguenze; possiamo ricattarlo, minacciando di uccidere i suoi familiari se non confessa; possiamo cercare le prove arbitrariamente; oppure possiamo darci delle regole, e rispettarle. L’esperienza insegna che, con grande probabilità, chi è sottoposto a tortura è disposto ad ammettere qualunque colpa, anche quelle che non gli appartengono. Ottenuta la confessione, avremo - anche - la verità. A questo punto, fare Giustizia sarà un gioco da ragazzi, come risolvere un’equazione elementare. La Verità, infatti, non può non essere giusta e non produrre Giustizia. Diversamente, se all’accusato sarà riconosciuta la facoltà di tacere e le regole di acquisizione della prova saranno rigorosamente disciplinate, l’esito dell’accertamento sarà inevitabilmente caratterizzato, nelle sue premesse, da congenita incertezza.
Molti penseranno, inevitabilmente, che coniugare Verità e Giustizia può essere molto semplice o estremamente difficile. Dipende, come ho appena detto, dalle premesse, da quello che siamo disposti ad accettare e dai limiti che ci poniamo. Se riteniamo che Verità e Giustizia siano dei concetti assoluti, il gioco è fatto: accertata la prima, la seconda è raggiunta. Il discorso si complica quando cominciamo a dubitare della validità dei sistemi di accertamento della verità: quando, ad esempio, mettiamo in forse l’attendibilità di una confessione ottenuta sotto tortura. Se questo accade, la nozione di Verità rischia di frantumarsi e quella di Giustizia è distrutta. A questo punto, cominciamo a pensare che, forse, è meglio rompere le catene che legano Verità e Giustizia e relativizzare entrambi i concetti. Intenderemo per vero ciò che riusciremo ad accertare e riterremo giusto ciò che corrisponde alle regole che ci siamo dati. Il concetto di Giustizia si libera dalla sua assolutezza e diventa un parametro di giudizio dei metodi di ricerca della verità. Sono appena nate le garanzie: quelle che ci consentono di dire che nessuna verità è accettabile se non è raggiunta in conformità alle regole.
Manca l’ultimo passaggio: quello che involge la libertà. La libertà, del tutto irrilevante in un sistema nel quale tutto è consentito all’Autorità impegnata ad accertare la Verità, è il limite all’arbitrio di quella Autorità ed il diritto del sottoposto all’indagine. La libertà è un fattore di condizionamento della verità indiscutibile. Un diritto conquistato faticosamente e a caro prezzo, non piovuto dal cielo. Un diritto che trasforma la nozione di Giustizia e che revoca in dubbio quella di Verità. Per essere liberi, insomma, dobbiamo accettare l’esistenza del dubbio e imparare a non demonizzarlo. Questo è il giusto processo; l’unico processo che possiamo accettare, se siamo liberi.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:04