
Non ha sbagliato Silvio Berlusconi quando ha definito la vicenda romana come una conseguenza diretta della lotta tra ex fascisti. In realtà avrebbe dovuto dire ex missini o ex esponenti di Alleanza Nazionale o ex militanti della destra sociale. Ma l’uso del termine “ex fascista” ha testimoniato la sua rabbia per i responsabili del pasticcio di Roma. E come tale va intesa.
La realtà è che da almeno un anno a questa parte negli ambienti della destra ex missina della Capitale si è aperta una partita all’ultimo sangue tra Gianfranco Fini, Gianni Alemanno, Francesco Storace e Giorgia Meloni per la leadership in quell’elettorato di destra romano che è sempre stato un caposaldo del mondo post-fascista. La bocciatura della candidatura di Alfio Marchini da parte di Fratelli d’Italia va vista alla luce di questo scontro fratricida. Appoggiare il costruttore avrebbe condannato il partito di Giorgia Meloni ad un inevitabile smottamento a destra in favore di Francesco Storace, candidato sindaco con il sostegno di Fini ed Alemanno. Di qui il secco “no” a Marchini che se avesse potuto contare sul sostegno dell’intero centrodestra, esclusa la parte storaciana, avrebbe potuto competere con Roberto Giachetti per arrivare al ballottaggio con la candidata del Movimento Cinque Stelle, Virginia Raggi.
La candidatura di Guido Bertolaso, che nei propositi del Cavaliere avrebbe dovuto attenuare l’emorragia a destra di Fratelli d’Italia, all’inizio ha rassicurato la Meloni ma, dopo l’adesione iniziale di Matteo Salvini, ha fatto scattare nel leader leghista l’idea di utilizzare la piazza romana per affondare in maniera inequivocabile la leadership di Berlusconi sull’area moderata e dimostrare che a comandare nel vecchio centrodestra c’è un blocco lepenista di cui lui è il capo indiscusso. Ora si discute non dell’esito delle elezioni romane, che è scontato e che vedrà il ballottaggio tra Giachetti e la Raggi ed il centrodestra spaccato tra chi voterà la grillina, chi si tirerà il naso e voterà per il candidato del Partito Democratico e chi se ne starà a casa a sacramentare. Si discute del futuro dell’area politica fino ad ora alternativa alla sinistra ed a Matteo Renzi e di quante possibilità abbia di ritrovare la perduta compattezza, di quanto sia irreparabile la sua lacerazione e di quale possa essere il modo per ricostruirla.
Che il futuro sia oscuro nessuno lo mette in dubbio. Che le possibilità di ricostruire lo schieramento sulla base degli equilibri del passato siano scarsissime appare altrettanto certo. Che forse una delle soluzioni, per evitare la frammentazione definitiva e la marginalizzazione definitiva di un polo lepenista condannato all’opposizione e di un’area moderata fatalmente attratta dal regime renzista, possano essere le primarie istituzionalizzate incomincia a farsi strada.
Ma può una soluzione tecnica colmare un vuoto di strategia politica?
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:05